martedì 29 dicembre 2009

Gamer - Recensione

Gamer
USA, 2009, colore, 95 min
Regia: Mark Neveldine, Brian Taylor
Sceneggiatura: Mark Neveldine, Brian Taylor
Cast: Gerard Butler, Michael C. Hall, Amber Valletta,
Alison Lohman, Kyra Sedgwick, Logan Lerman

Dopo l’overdose d’azione ad elettroencefalogramma piatto dei due Crank, il duo Neveldine-Taylor ci trasporta in un prossimo futuro caratterizzato da tecnologie di comunicazione altamente avanzate. In un mondo dove i maxischermi sono presenti dovunque, incluse le piramidi, una nuova frontiera dell’intrattenimento videoludico e televisivo domina l’immaginazione delle masse: Slayers.
Nato dal genio di Ken Castle (il Michael C. Hall di dexteriana fama), la metà oscura di Bill Gates, Slayers consente ai giocatori di comandare il proprio alter ego in uno sparatutto in prima persona, salvo che quest’ultimo è rappresentato da un essere umano in carne e ossa (e tanto, tanto sangue). La tecnologia che lo rende possibile è il Nanex, una nanocellula artificiale da impiantare nella corteccia motoria del cervello, che è in grado di soppiantare le cellule preesistenti e controllare l’individuo mediante funzionalità di accesso remoto. La carne da macello è costituita da detenuti nel braccio nella morte a cui viene offerta la libertà se riescono a sopravvivere a trenta round di carneficina. Tra di loro spicca il misterioso Kable (Gerard Butler, oramai abbonato a ruoli da duro e puro) che è pericolosamente vicino ad uno scomodo rilascio. Le informazioni in suo possesso, infatti, porterebbero alla luce le manie di onnipotenza del nostro Bill Castle.
Nonostante la natura di action adrenalico, Gamer è meno banale di quanto si pensi. Nulla di trascendentale ovviamente, ma il fatto che il duo di registi riesca a inserire, tra sanguinolente battaglie nell’arena e inseguimenti vari, quel minimo di spunti di riflessione è sempre cosa gradita. La figura di Kable è una versione aggiornata del gladiatore nell’era della comunicazione di massa. Il tema della difesa della propria identità in contrapposizione ad un sistema disumanizzante si rispecchia nella caparbietà con cui Kable ripete il proprio vero nome (Tillman) a chiunque, e in primo luogo a se stesso. Quel nome diviene l’ultimo baluardo di individualità contrapposto all’utilizzo del nickname e la connotazione di merce che incarna.
Slayers non è l’unica ossessione di questo mondo futuristico. Largo spazio è dato anche alla precedente creazione di Castle, un gioco a metà strada tra The Sims e Second Life chiamato “Society”, aberrante conseguenza della dipendenza tecnologica. Nel coloratissimo mondo pop di Society, chi se lo può permettere può realizzare qualsiasi strana e perversa fantasia essenzialmente affittando altri essere umani.
Gamer non percorre strade nuove né rivoluziona in alcun modo i generi a cui appartiene, action e sci-fi, ma ripropone concetti familiari con una certa freschezza e un ritmo spedito.
L'azione ha un montaggio veloce ma non confusionario, è chiassosa, ricca di esplosioni e con qualche caduta nel cattivo gusto. I puristi non troveranno alcuna ripresa in soggettiva alla Doom (Andrzej Bartkowiak, 2005) ma avranno modo di inorridire ugualmente per alcune visuali in terza persona estrapolate da un action game a caso. Il microcosmo degli FPS online è ricreato con fedeltà e le strizzate d’occhio ai fan del genere si sprecano (gente che saltella nell’arena di gioco, i “camper”, la personalizzazione dell’arsenale).
Dal punto di vista formale il duo Neveldine-Taylor ripropone il consueto stile fatto di zoomate veloci, inquadrature non convenzionali e largo uso di stop-motion. Poteva essere riposta un’attenzione maggiore nella stesura dei dialoghi. Non che mi aspettassi citazioni dotte, ma nemmeno tanta banalità e mancanza di brio, senza contare che alcuni aspetti del plot scivolano semplicemente nell’oblio. La resa dei conti finale, preceduta dalla perfomance musicale di I’ve Got You Under My Skin, appare frettolosa e scarsamente ispirata. In definita uno scorrevole film d’azione infarcito di citazioni che spaziano da Hackers (Ian Softley, 1995) al costume di Pris direttamente da Blade Runner.

domenica 27 dicembre 2009

Ghost Machine - Sottotitoli

Ghost Machine
UK, 2009, colore, 90 min
Regia: Chris Hartwill
Sceneggiatura: Sven Hughes, Maalachi Smith
Cast: Rachael Taylor, Sean Faris, Luke Ford




Sottotitoli Ghost Machine

martedì 22 dicembre 2009

Online lo script di Hardware 2: Ground Zero

I fan di Richard Stanley saranno felici di sapere che lo script del sequel mai realizzato di Hardware è disponibile per il download.
Il primo film, nella sua commistione a basso costo tra cyberpunk e post-apocalittico, è riuscito a crearsi una considerevole schiera di appassionati. Si parla di questo secondo capitolo sin dal 1996 ma il progetto non riuscì mai a concretizzarsi. La pubblicazione dello script (peraltro in versione revisionata) è chiaramente un modo per tastare il terreno e attivare il passaparola. Così come la recente uscita del primo capitolo in versione blu-ray restaurata.
Stanley è attualmente impegnato nella produzione di Vacation (previsto per il 2010), storia apocalittica di una coppia di turisti americani che scelgono decisamente il momento sbagliato per la loro vacanza, trovandosi in medio oriente allo scoppio della terza guerra mondiale.
Nella speranza che prima o poi si trasformi in qualcosa di concreto, ecco lo script di Hardware 2: Ground Zero.

lunedì 21 dicembre 2009

Sunshine - Recensione

Sunshine
UK/USA, 2007, colore, 107 min
Regia: Danny Boyle
Sceneggiatura: Alex Garland
Cast: Cliff Curtis, Cillian Murphy, Rose Byrne, Chris Evans,
Michelle Yeoh, Hiroyuki Sanada, Mark Strong

A causa dello spegnimento del Sole, la Terra ha subito una nuova glaciazione. A prezzo dell’esaurimento di tutto il materiale fissile del pianeta viene approntata un’astronave con il compito di riaccendere la nostra morente stella mediante un ordigno nucleare da piazzare all’interno del suo nucleo. Si tratta in realtà della seconda spedizione, dato che della precedente si sono perse le tracce, e rappresenta l’ultima speranza della razza umana. I membri dell’equipaggio, all’insegna del politically correct, rappresentano ciascuno i rispettivi popoli della Terra.
Che gli anni 2000 siano per la fantascienza un periodo di totale oscurità è cosa nota. Solo ultimamente si comincia a intravedere qualche spiraglio di luce. Quindi, quando nel 2007 un regista dal glorioso passato (Danny Boyle) ottiene un budget consistente e mette insieme un cast di tutto rispetto per trasportarci sull’astronave Icarus II, l’attesa diventa spasmodica. E puntualmente delusa.
Il principale problema di Sunshine è rappresentato dalla sceneggiatura. Alex Garland (già autore dello script dell’abominevole The Beach) ce la mette tutta per rendere la storia un gigantesco festival del luogo comune e della sciatteria. Gli astronauti a bordo non solo sono stereotipati in base all’appartenenza geografica (il giapponese leader, taciturno e saggio, l’americano testa calda) ma anche irritanti nella loro monodimensionalità. L’unico personaggio degno di nota si può riscontrare nella figura dello psichiatra di bordo, Searle. A un certo punto del film comincia a nutrire un’ossessione nei confronti del Sole che va ricercata nei meandri del nostro DNA, eredità dei rettili in un mondo atavico. Bravo Garland, l’unica idea riuscita l’hai copiata dal romanzo Il Mondo Sommerso di J.G. Ballard (che naturalmente è ambientato in un contesto completamente diverso, l’esatto opposto per essere precisi). I personaggi che possono godere di una, seppur appena abbozzata, componente psicologica sono giusto tre. La presenza degli altri è puramente decorativa e non contano nulla nell’economia della storia.
La vicenda procede stancamente tra gli abituali problemi tecnici causati da fattori umani e non, fino al ritrovamento dell’Icarus I. L’introduzione di un nuovo personaggio, animato da follia religiosa di stampo apocalittico, e l’agognato raggiungimento del Sole conferiscono al film qualche sprazzo di vitalità ma è decisamente troppo poco per risollevarne le sorti.
Il comparto tecnico svolge bene il suo lavoro ma non basta una bella confezione per la riuscita di un film. Boyle sceglie la strada della verosimiglianza, potendo giovare di consulenze qualificate e di scenografie ispirate a prototipi della NASA e sottomarini nucleari. Ma nemmeno lui perde occasione di rendersi ridicolo. Gli innesti di pseudo-messaggi subliminali a bordo della Icarus I, che dovrebbero contribuire ad accrescerne l’atmosfera malata e misteriosa, sono del tutto superflui e fastidiosi. Bellissima invece la colonna sonora di John Murphy e degli Underworld.
Lodato inspiegabilmente dalla critica come ottimo esempio di film a medio-budget non ha avuto riscontro di pubblico (fatto ben più spiegabile). Provaci ancora Danny e cambia sceneggiatore.

domenica 20 dicembre 2009

Sleep Dealer - Recensione

Sleep Dealer
USA/Messico, 2008, colore, 90 min
Regia: Alex Rivera
Sceneggiatura: Alex Rivera, David Riker
Cast: Leonor Varela, Jacob Vargas, Luis Fernando Peña


Sleep Dealer è ambientato in un futuro non troppo distante dove le persone possono collegarsi ad una rete informatica globale utilizzando prese impiantate nei loro corpi in grado di interfacciarsi al sistema nervoso. Gli Stati Uniti hanno innalzato un muro lungo il confine col Messico, ma il paese consente ancora l'assunzione di lavoratori messicani che una volta collegati possono controllare a distanza dei robot. Gli sbocchi lavorativi sono molteplici e vanno dalla classica raccolta delle arance fino al babysitting. In questo contesto, una compagnia privata si è appropriata del rifornimento idrico, mediante la costruzione di una diga, di una vasta regione del Messico. Per gli abitanti della zona, costretti a comprare un bene che appartiene loro da sempre, la vita non è facile. Sullo sfondo, un gruppo ribelle per la ridistribuzione dell’acqua ingaggia una lotta impari contro lo strapotere militare, altamente tecnologico, della compagnia.
Memo Cruz è un ragazzo che vive in un isolato villaggio non tecnologico, che sogna di lavorare in una fabbrica high-tech a Città del Messico, una delle Sleep Dealer che danno il titolo al film. Un giorno costruisce una trasmittente che gli permette di captare segnali dal resto del mondo, unico modo di evadere dall’antiquato contesto agricolo che sembra stritolarlo. Riesce a origliare casualmente le comunicazioni di un’azione antiterrorismo ma la trasmissione viene intercettata e la sua vita cambierà per sempre.

Non si può che elogiare come il regista Alex Rivera sia riuscito a massimizzare il budget irrisorio per portare avanti la sua visione.
Ci troviamo di fronte ad un’immagine del futuro dove gli impianti neuronali, la telerobotica e l’ubiquità garantite dalle rete di computer sono schiave dell’economia globale. Un futuro dove le multinazionali utilizzano lavoratori stranieri per far funzionare a distanza la tecnologia occidentale. Emblematica a questo proposito è la frase più bella del film, pronunciata dal supervisore di una fabbrica, che recita così: “Abbiamo dato agli americani tutto quello che hanno sempre voluto: tutto il lavoro e nessuno dei lavoratori.” Unico requisito richiesto sono prese impiantate nel corpo e diventare letteralmente schiavo del sistema.
La sceneggiatura, firmata dallo stesso Rivera, sottolinea la totale libertà creativa di cui ha potuto godere il regista. La carne al fuoco è veramente tanta, forse troppa. Alcuni temi, come la deformazione della realtà ad opera dei media, sono altamente inflazionati, ma non mancano idee degne di nota. Data la natura di film cyberpunk, la tecnologia assume un ruolo preponderante. Nel mondo di Sleep Dealer se servono soldi extra c’è sempre l’e-bay futuristico dove è possibile vendere i propri ricordi. Se si vuole intraprendere la carriera militare è possibile farlo a rischio zero, combattendo il “nemico” tramite droni senza lasciare il quartier generale. Ma il regista ci ricorda che, paradossalmente, nonostante siamo in possesso di avanzate tecnologie di comunicazione in grado di annullare le distanze, i muri continuano ad essere costruiti ed i confini rimangono ben marcati.
I pochi innesti in CGI di fattura economica non sviliscono un film “militante” dai notevoli spunti di riflessione di un regista che ama profondamente il proprio paese.
Prensentato in concorso all’edizione 2008 del Sundance Film Festival, ha ricevuto l’ Alfred P. Sloan Prize.



martedì 15 dicembre 2009

Loft - Sottotitoli

Loft
Belgio, 2008, colore, 118 min
Regia: Erik Van Looy
Sceneggiatura: Bart De Pauw
Cast: Filip Peeters, Koen de Bouw, Matthias Schoenaerts, Bruno Vanden Broecke, Koen De Graeve, Marie Vinck


Sottotitoli Loft

sabato 12 dicembre 2009

Rutger Hauer e la fantascienza di serie-b

Sebbene fosse già noto nella madre patria Olanda grazie a numerose collaborazioni con Paul Verhoeven, la fama di Rutger Hauer è indissolubilmente legata all’interpretazione del replicante Roy Batty in Blade Runner. Il monologo che tira in ballo i bastioni di Orione e le porte di Tannhauser non è affatto andato perduto come lacrime nella pioggia ed è entrato nell’immaginario collettivo. Il buon Rutger lo scrisse (o meglio lo modificò) prima delle riprese e venne accettato da Ridley Scott, completamente esaurito dalle ingerenze della produzione e dai dissapori con la troupe, purchè si finisse di girare il prima possibile. La carriera di Hauer procede tra alti e bassi per buona parte degli anni 80, soprattutto nell’ambito del cinema di genere. Ne sono un esempio il fantasy ambientato nell’Italia centrale (a dispetto dei nomi francofoni) Ladyhawke, il thriller on the road The Hitcher, e l’ultimo film di Peckinpah, il thriller spionistico Osterman Weekend. Sul finire del decennio la parabola discendente è già ben avviata e piuttosto che rassegnarsi a ruoli di comprimario, il Nostro, forse memore del film che ha contribuito alla sua fama, decide di assurgere al ruolo di alfiere della fantascienza di serie-b. Il sacro terzetto è composto da Giochi di Morte (1989), Detective Stone (1992) e Omega Doom (1996). Ma andiamo con ordine.


The Blood Of Heroes (Giochi Di Morte)

Negli anni 80 la trilogia di Mad Max fece scuola e i deserti post-apocalittici popolati da un’umanità allo sbando andavano per la maggiore nel panorama fantascientico dell’epoca. Giochi di morte non fa eccezione. La vicenda ruota intorno ad un fantomatico “Gioco” le cui regole sono molto semplici, due squadre di cinque membri se le danno di santa ragione tentando di infilare un teschio di cane in un paletto. Il componente della squadra preposto a questo compito prende il nome di quick ed è spalleggiato tra tre jugger, bardati come la versione post-apocalittica dei contendenti di American Gladiators. A chiudere il cerchio un tizio armato di catena a proteggere il quick. Sia come sia, alla fine ciò che conta è che tutti se le diano di santa ragione. Sharko (Rutger Hauer) faceva parte della Lega, il campionato ufficiale che si svolge in quanto sia rimasto di più vicino alla “civiltà“, ovvero la sotterranea Città Rossa. Adesso si guadagna da vivere girando di villaggio in villaggio con la sua squadra e sfidando le selezioni locali di poveri derelitti. Ma il suo ritorno è vicino.
David Webb Peoples (sceneggiatore di Blade Runner, L‘Esercito Delle 12 Scimmie, Gli Spietati) firma qui la sua prima (ed ultima) regia prima di tornare a ciò che gli riesce meglio.
Rutger Hauer, quando non grugnisce menando mazzate, esibisce perennemente un sorrisetto sardonico di chi la sa lunga. Joan Chen aggiunge quella componente “bellezza esotica” che tanto andava di moda in quegli anni. Si rende però protagonista della scena più grottesca di tutto il film. Vediamo un suo primo piano di ammirazione estatica del tipo “è questo il mio sogno nella vita”, seguito dalle immagini di due giocatori che si ruzzolano nel fango pestandosi a sangue.
Il resto del cast comprende un Delroy Lindo dall’espressione perennemente perplessa e Vincent D’Onofrio. Quest’ultimo non sembra ancora essere riuscito a scrollarsi di dosso l’espressione ebete di palla di lardo, alla quale aggiunge movenze vagamente scimmiesche. Inguardabile.
Del film esistono due versioni: l’originale del regista e una seconda per il mercato inglese, sforbiciata di un paio minuti che snatura il finale suggerendo l’happy end per tutti. Del sacro terzetto è il film più decente, o meno indecente, a seconda dei gusti.


Split Second (Detective Stone)

A causa dell’effetto serra la città di Londra è flagellata da costanti piogge che hanno fatto salire a dismisura il livello del Tamigi. L’ambientazione ricorda vagamente (o almeno ci prova) l’Amsterdam semi-sommersa presente nell’Elemento del Crimine (che a sua volta deriva dalla visione apocalittica del grande John Shirley nel primo romanzo della trilogia di Eclipse). In questo contesto a tinte dark, tra buie strade parzialmente allagate e tunnel metropolitani ormai inservibili, un serial killer mutante semina morte lasciando dietro di se tracce di macabri rituali. Il detective Stone (Rutger Hauer) è già entrato in contatto con lui anni prima, uscendone profondamente segnato nel corpo e nella mente. Tra i due si è instaurato una sorta di legame simbiotico, che permette a Stone di avvertire il battito del cuore dell’altro quando si trova nelle vicinanze.
L’inizio del film è promettente, un alone di mistero aleggia intorno al killer che presenta caratteristiche decisamente non umane così come intorno alla figura di Stone, e il pulsare del cuore che si sovrappone ai rumori di fondo durante le soggettive del mutante riesce a creare un minimo di tensione. Ma è solo un abbaglio.
Stone viene umanizzato fin troppo rivelandosi un emerito idiota, l’espediente del cuore pulsante viene stra-abusato fino a risultare stucchevole e la vicenda assume tinte farsesche. La spalla comica rappresentata dal collega di Stone poi, è insopportabile quasi quanto la faccia dell’attore che la interpreta (tale Alistair Duncan). Il look del mutante è talmente simile a quello dell’Alien per eccellenza da rasentare il plagio e la scena della mano artigliata che sventra un vagone ferroviario è trash fino al midollo. Troviamo anche Kim Cattral che l’unica cosa di buono che ha fatto nella sua carriera è stata Grosso Guaio a China Town (stendiamo un velo pietoso anche su Sex And The City). Il titolo originale Split Second (frazione di secondo) da noi è diventato Detective Stone, nel tentativo di creare un alone mitico intorno al personaggio principale, peraltro per nulla memorabile.


Omega Doom

Come direbbero i ragazzi di FilmBrutti, qui la visione si fa autopunitiva.
Il sottoscritto non ricorda se è mai riuscito a vedere questo film per intero ma sicuramente non ha alcuna intenzione di cimentarsi nuovamente nell’impresa. Detto questo vado ad illustrare la trama.
La sequenza iniziale, saccheggiando a piene mani da Terminator (budget permettendo), ci catapulta al termine della solita guerra tra uomini e macchine. Gli umani, sconfitti, si sono rifugiati sottoterra mentre i vincitori, suddivisi in due gruppi di cui non ricordo il nome, si contendono quel che rimane del pianeta. Entrambi i gruppi sono alla ricerca di un fantomatico deposito d’armi che permetterebbe agli umani la riscossa. Tra di loro si muove il cyborg dal cervello danneggiato Omega Doom (chi sarà mai…) che, come il Bruce Willis di Ancora Vivo, mira a ottenere che si annientino a vicenda. Il regista Albert Puyn nella sua ventennale carriera ha sfornato un po’ di tutto, dai fantasy ai film sulle arti marziali, oltre ad essere ossessionato dai cyborg. Frullate insieme alcuni elementi dei generi sopra citati ed otterrete Omega Doom. Rutger Hauer si è perfettamente reso conto in cosa si è andato a cacciare e la sua espressione, mai stata così rassegnata, vale più di mille parole.

mercoledì 9 dicembre 2009

Ga, Ga - Chwala bohaterom - Recensione e Sottotitoli

Ga, Ga - Chwala bohaterom
Polonia, 1986, colore, 84 min
Regia: Piotr Szulkin
Sceneggiatura: Piotr Szulkin
Cast: Daniel Olbrychski, Jerzy Stuhr, Katarzyna Figura, Marek Walczewski, Jan Nowicki

La società polacca degli anni 80 era in pieno fermento, in bilico tra il tramontante comunismo di stampo sovietico, l’affacciarsi dei modelli americano-europei e la nascita di Solidarnosc. Un paese alla ricerca di una propria identità, accarezzato dai venti del rinnovamento ma ancora saldamente ancorato al rigido controllo statale. Ga, Ga - Chwała bohaterom (Ga, Ga - Gloria agli eroi) si fa specchio di quel periodo trasportandoci in un mondo alieno che racchiude in sé gli aspetti più negativi dei modelli sociali anni 80.
In un futuro imprecisato, il benessere diffuso è diventato un serio limite alla colonizzazione dello spazio, in quanto nessuno vuole più intraprendere la pericolosa professione di cosmonauta. Una soluzione viene presto trovata: saranno i prigionieri che affollano le carceri spaziali a farsi carico della colonizzazione di nuovi mondi per la gloria del genere umano. Il prigioniero 287138 ( Daniel Olbrychski) è il prescelto. Nulla ci è dato sapere sulla sua storia ma da un breve accenno si presume che i motivi della sua incarcerazione siano di natura politica.
Atterrato su un pianeta del tutto simile alla Terra salvo che per la notte perenne (ironicamente chiamato Australia 458), verrà accolto come un eroe. Ma essere un eroe in questo assurdo mondo dominato dalla burocrazia non è piacevole come sembra. Gli sfortunati astronauti sono obbligati a firmare un contratto con il quale si impegnano a commettere un crimine a loro scelta e a ricevere l’adeguata punizione per il loro gesto, che consiste nell’essere impalati in uno stadio pieno di gente e in diretta televisiva.
Sebbene le premesse siano abbastanza macabre, i toni utilizzati sono quelli del grottesco e del surreale. L’umorismo nero che pervade i film di Szulkin è qui presente in maniera ancora più accentuata e l’atmosfera che si respira, ben lungi dall’essere confortante, vira più sui toni della commedia rispetto alla cieca disperazione che si respira in O-bi O-ba koniec cywilizacji. Esilaranti a questo proposito il servizio televisivo che illustra le modalità d’impalamento e i siparietti con protagonista Skinny (il sempre ottimo Jerzy Stuhr), il cui compito è rendere la breve permanenza dell’eroe il più piacevole possibile.
Szulkin liquida immediatamente l’aspetto religioso, incarnato dalla ridicola figura del prete (la sua vena critica in tal senso è presente soprattutto in O-bi O-ba ) e si concentra unicamente sui due blocchi politico-ideologici contrapposti. Se da un lato sottolinea l’indole repressiva e l’utilizzo della televisione di stato per fini propagandistici del comunismo, dall’altro si fa beffe della società del benessere,dei simboli che la rappresentano e della spettacolarizzazione della violenza a beneficio di un pubblico morbosamente in cerca di emozioni forti.
Fino al finale anarchico e liberatorio.

Sottotitoli Ga, Ga - Chwala bohaterom

Concludo col segnalare l’uscita del cofanetto dvd che racchiude i quattro film fantascientifici di Szulkin con sottotitoli in inglese:
Golem
O-bi, O-ba - Koniec cywilizacji (O-Bi, O-Ba - The End of Civilization)
Ga, Ga - Chwala bohaterom (Ga-ga: Glory to the Heroes)
Wojna swiatow - nastepne stulecie (The War of the World: Next Century)

Potete ordinarlo a questo indirizzo.
Inutile dire che l'ho già fatto mio.

sabato 5 dicembre 2009

Starter For 10 - Recensione e Sottotitoli

Starter For 10
UK/USA, 2006, colore, 92 min
Regia: Tom Vaughan
Sceneggiatura: David Nicholls
Cast: James McAvoy, Rebecca Hall, Alice Eve, Dominic Cooper, Simon Woods, Benedict Cumberbatch, Charles Dance

Lo spirito di John Hughes aleggia su questa gradevole commedia che ci catapulta indietro negli anni 80, ma questa volta nella cara vecchia Inghilterra. Anche grazie a questo, i protagonisti, rispetto alle loro controparti yankee, mostrano un pizzico di spessore in più e il rischio di imbattersi in un quarterback o in una cheerleader è nullo.
Il protagonista del film, Brian Jackson (James McAvoy), è un intelligente ma un sprovveduto ragazzo appartenente alla working-class, che tenta di sfuggire alle sue umili radici iscrivendosi ad una costosa università inglese. Brian, come viene sottolineato dalla frase d’apertura “Sin da quando posso ricordare, ho sempre voluto essere intelligente”, vede nel farsi un’istruzione l’unica possibilità per emanciparsi dalla sua condizione sociale e non finire come i suoi amici scansafatiche, già avviati al sussidio di disoccupazione. L’opportunità di dimostrare a se stesso quanto vale (complice anche una triste figura paterna che godeva della bravura del figlio nell’indovinare le risposte di un quiz a premi e immaginava per lui un grande futuro) è fornita da un quiz show televisivo, University Challenge, in cui si sfidano a suon di domande le rappresentanze di diverse università. Alle selezioni per la formazione della squadra, incontra la bionda gattamorta Alice (Alice Eve) alla quale, essendosene invaghito, permette di copiare. Contemporaneamente entra nella vita di Brian un’altra ragazza, Rebecca (Rebecca Hall), una bruna attivista politica di origini ebraiche che rappresenta l’esatto opposto di Alice. I risvolti romatici, inframezzati da feste a tema “ Preti e Prostitute” e prima tiri di marjiuanana, saranno prevedibili. Ne viene fuori una godibile commedia romantica che, nonostante alcune situazioni, non rasenta mai la volgarità e farà felici i nostalgici fino al beffardo finale. Il tutto è ottimamente supportato da un cast di giovani attori tra cui spicca l’ingenuo ma risoluto Brian di James McAvoy ( la cui carriera è meritatamente in costante ascesa, ma Wanted non glielo perdono) a cui è difficile non affezionarsi. È presente qualche somiglianza con il sensibile personaggio di Andrew McCarthy in Pretty in Pink, solo meno fighetto e di modeste origini. Dall’attore di bratpackiana fama mutua anche l’orribile pettinatura.
Ottima la colonna sonora che comprende gruppi quali The Cure, Tears for Fears e The Smiths.
Buon successo in patria.

Sottotitoli Starter For 10 ad opera di Faye

mercoledì 2 dicembre 2009

Hardware - Recensione

Hardware
UK, 1990, colore, 93 min
Regia: Richard Stanley
Sceneggiattura: Steve Macmanus, Kevin O'Neill
Cast: Dylan McDermott, Stacey Travis, John Lynch, William Hootkins, Iggy Pop, Lemmy Kilmister

L’incipit di Hardware è di quelli che lasciano il segno. Un uomo cammina solitario in un deserto spettrale, chiamato la “Zona“, fotografato nei toni del rosso e dell‘arancione. Una maschera antigas gli copre il volto. Attraversa quel che rimane di una recinzione inoltrandosi in quella che doveva essere una zona vietata. L’uomo è uno scavenger, un nomade solitario che compie lunghi peregrinaggi attraverso una terra desertificata e altamente inquinata alla ricerca di qualsiasi oggetto possa rivelarsi utile. Trova nella sabbia i resti di un cyborg e impossessatosi della testa si avvia verso la prima degradata città.

Ci troviamo di fronte ad uno degli esempi meglio riusciti di estetica cyberpunk e più precisamente della sua corrente maggiormente “punk“ incarnata da scrittori come John Shirley ed intrisa di simbolismo apocalittico. Niente cowboy del cyberspazio o nanotecnologia applicata quindi, ma un efficace ed energico film di fantascienza che riesce a sopperire con intelligenza al basso budget. I vari rimandi al Nirvana e la spiritualià New-Age di alcuni personaggi non si elevano al di là di note di colore.

La scena si sposta in città dove Moses Baxter (Dylan McDermott, la star del telefilm The Practice, imbambolato e monoespressivo come sempre) riesce ad aggiudicarsi la testa per portarla in dono alla sua fidanzata Jill (Stacey Travis), scultrice specializzata in installazioni post-industriali. L’idea non si rivela saggia. La testa appartiene allo sperimentale modello MARK 13, ideato come (sanguinosa) alternativa al controllo delle nascite su una Terra che oramai può garantire pochi mezzi di sostentamento e programmato per eliminare qualsiasi essere umano gli capiti a tiro. Inoltre è in grado di rigenerarsi con materiali di fortuna ed in casa di Jill il metallo non manca. Per Jill e il vicinato sarà una lunga notte.

Tra i film sfacciatamente omaggiati troviamo Mad Max, Profondo Rosso e naturalmente Terminator. La vera star di Hardware, come nel film da cui trae maggiormente ispirazione, rimane il crudelissimo cyborg con il consueto armamentario di seghe circolari e trapani integrati che faranno la felicità di ogni amante del sangue a spruzzi. Il suo animatronic ci riporta ad un cinema ancora saldamente ancorato alla sua dimensione più fisica e materiale, prima dell’avvento degli effetti speciali digitali.
I colori dominanti sono il rosso e l’arancione che ben si prestano sia per le riprese in esterni, donando al deserto un’aura ancora più apocalittica, sia per gli interni, dando agli ambienti quel tocco futuristico in più. A sottolineare il budget risicato, la maggior parte del film si svolge all’interno dell’appartamento di Jill e nelle immediate vicinanze. La scelta di mostrare poche locazioni ma ricche di dettagli si dimostra vincente. Il montaggio videoclipparo evidenzia i trascorsi dell’allora esordiente Richard Stanley come regista di spot pubblicitari, che qui realizza senza dubbio il miglior film della sua ristretta filmografia.
Cameo di Lemmy dei Motorhead nei panni del tassista che ascolta alla radio il gruppo d’appartenenza, mentre Iggy Pop presta la voce disc-jockey Angry Bob.




lunedì 30 novembre 2009

Linkeroever (Left Bank) - Sottotitoli

Linkeroever (Left Bank)
Belgio, 2008, colore, 102 min
Regia: Pieter Van Hees
Sceneggiatura: Christophe Dirickx, Dimitri Karakatsanis
Cast: Eline Kuppens, Matthias Schoenaerts, Sien Eggers, Marilou Mermans

Marie (Eline Kuppens) è un’atleta professionista. Un giorno sviene all’improvviso a causa di quella che si scoprirà essere un’infezione del suo sistema immunitario. Costretta al riposo, conosce Bobby e ben presto si trasferisce nel suo appartamento situato a Linkeroever, un distretto di Antwerp, dove, nel medioevo, venivano ghettizzati i lebbrosi e i sospettati di stregoneria. Qui scopre che la precedente inquilina è misteriosamente scomparsa. Di pari passo con il peggioramento delle proprie condizioni, Marie comincia ad esplorare questo gelido e spettrale contesto, portandone alla luce il lato più oscuro che attinge a piene mani dalla mitologia pagana.

Sottotitoli Linkeroever

domenica 29 novembre 2009

District 9 - Recensione

District 9
USA/Nuova Zelanda, 2009, colore, 112 min
Regia: Neill Blomkamp
Sceneggiatura: Neil Blomkamp, Terry Tatchell
Cast: Shartlo Copley, Jason Cope, Nathalie Boltt, John Sumner

Reduci dalla cancellazione dell’adattamento cinematografico del videogame Halo, Neill Blomkamp e Peter Jackson decidono di impegnare le proprie energie creative nella realizzazione di un nuovo progetto, District 9. Se un nome del calibro di Peter Jackson, qui nelle vesti di produttore, decide di dare fiducia all’esordiente regista sudafricano (proveniente da corti e videoclip), un motivo ci sarà. Il motivo è presto detto, District 9, tratto dal corto “Alive in Joburg” dello stesso Blomkamp, rappresenta un ventata d’ossigeno nell’asfittico panorama fantascientifico odierno. Blomkamp ripaga ampiamente la fiducia datagli, scrivendo e dirigendo la sua personale versione dell’apartheid con tale sicurezza e fiducia nei proprio mezzi che è lecito attendersi una fulgida carriera. Il tentativo di rivitalizzare un genere capace oramai di sfornare solo infimi remake e baracconate apocalittiche parte proprio da qui.
Anno 1982, gli alieni arrivano sulla Terra e più precisamene l’astronave madre rimane sospesa nel cielo sopra Johannesburg, in Sud Africa. I nuovi arrivati, che versano in condizioni precarie, non sono certo piacevoli a vedersi nel loro incrocio tra insetti e crostacei (una sorta di versione “ingentilita” degli alieni di Man in Black) ma appaiono per lo più spaesati e non particolarmente aggressivi. Non essendo in grado di tornare sull’astronave madre ed essendo esclusa a priori qualsiasi possibilità di integrazione, si decide di ghettizzarli in una baraccopoli alle porte della città, il Distretto 9. Sono passati vent’anni e in seguito alle proteste sempre più pressanti dell’intransigente popolazione locale viene pianificato un nuovo trasferimento. Per la location del film la produzione ha potuto beneficiare della reale e ormai disabitata baraccopoli di Soweto, i cui abitanti hanno subito la stessa sorti degli alieni del film.
Il compito di trasferire gli alieni, ribattezzati con il temine dispregiativo di “prawns” (gamberoni), viene dato in appalto alla MNU che è anche una delle principali produttrici di armi. La MNU inoltre conduce in segreto esperimenti volti a rendere utilizzabile il ricco arsenale di armi tecnologicamente avanzate e attivabili solo dal DNA alieno che i poveri clandestini dello spazio si sono portati dietro. A capo delle operazioni di trasferimenti viene assegnato lo zelante burocrate Wikus van der Merwe (Shartlo Copley) con il colpito di notificare avvisi di sfratto a sbigottiti alieni che ignorano il concetto stesso del termine. Durante lo svolgimento della sua mansione, Wilkus viene accidentalmente in contatto con una sostanza aliena che altera il suo DNA trasformandolo progressivamente in un prawn. Suo malgrado diventerà un preziosissimo esemplare braccato dalla MNU, in quanto il suo DNA ibrido gli consente di utilizzare le ambite armi aliene. Unico rifugio il Distretto 9 dove scoprirà che il cieco opportunismo(incarnata sia dalle multinazionali che dai contrabbandieri nigeriani) e i pregiudizi sono prerogativa unicamente umana.

Il film si apre in stile mockumentary e, tra servizi giornalistici e riprese amatoriali, sfrutta tutti gli artifizi del genere per contestualizzare la vicenda narrata. Nella seconda parte si torna alla classica ripresa cinematografica, scelta che si rivela essenziale per godere al meglio delle frenetiche scene d’azione. Il lavoro sugli effetti speciali ha dell’incredibile considerando il non esorbitante budget di 30 milioni di dollari e una resa visiva che ne vale il doppio. Il livello di interazione tra creature digitali e attori in carne ed ossa raggiunge vette di eccellenza e le varie armi aliene incluso un mech hanno carisma da vendere. Ennesimo colpo riuscito della neozelandese WETA. Se proprio vogliamo trovare il pelo nell’uovo, durante il passaggio tra la prima parte interamente dominata dall’utilizzo di camera a mano e la seconda che gode di una rappresentazione più classica, si avverte per qualche minuto una sensazione di spaesamento abbastanza accentuata. L’impronta di Peter Jackson (sempre memore dei suoi esordi e che è riuscito ad aggiungere un suo personale tocco macabro persino al Signore degli Anelli) si può ravvisare nei graditi effetti splatter che le potenti armi aliene riescono a generare e che allontana, insieme alla caratterizzazione degli alieni e a buone dosi di cattiveria, ancora di più la pellicola dagli standard hollywoodiani.
Ottima la prova dell’esordiente Shartlo Copley in una parte non facile: l’evoluzione psicologica di un patetico burocrate che prova sulla sua pelle cosa significhi essere diverso ma che alla fine avrà modo di riscattarsi, anche se soprattutto per fini egoistici.
Il fatto che il messaggio veicolato da questa metafora dell‘apartheid sia palese (almeno la componente ideologica è condivisibile e non ci ritroviamo di fronte a improponibili derive teocon come nel caso di Knowing) non toglie nulla ad un film realizzato con cura in ogni suo aspetto, senza contare che le riprese effettuate in una vera baraccopoli aggiungono un impatto visivo non indifferente. Numerosi le citazioni ravvisabili, da La Mosca di Cronenberg ad Alien Nation. Toccante l'immagine finale.

giovedì 26 novembre 2009

The Informers - Sottotitoli

The Informers
USA/Germania, 2008, colore, 98 min
Regia: Gregor Jordan
Sceneggiatura: Bret Easton Ellis
Cast: Billy Bob Thornton, Kim Basinger, Amber Heard,
Rhys Ifans, Mickey Rourke, Winona Ryder, Brad Renfro.

The Informers sottotitoli

Screamers - Recensione

Screamers
Canada/USA/Giappone, 1995, colore, 108 min
Regia: Christian Duguay
Sceneggiatura: Dan O' Bannon
Cast: Peter Weller, Roy Dupuis, Jennifer Rubin, Andrew Lauer

Anno 2078, Pianeta Sirius 6B. Il pianeta, in passato un’importante colonia mineraria controllata dal Nuovo Blocco Economico (N.E.B.), è oramai ridotto ad una landa desertica in seguito alla guerra nucleare scatenatasi per il controllo del Berynium. In seguito alla scoperta che l’estrazione del Berynium rilasciava nell’ambiente dosi letali di radiazioni, “L’Alleanza”, fazione nata dalla scissione del NEB, chiese la sospensione delle operazioni minerarie ottenendo per tutta risposta l’inizio della guerra. Il conflitto, limitato a Sirius 6B, ebbe ripercussioni anche sulla Terra generando una nuova guerra fredda tra le opposte fazioni. Per controbilanciare lo strapotere militare del NEB, l’Alleanza inventò gli screamers, piccoli robot muniti di sega circolare capaci di strisciare sottoterra e insinuarsi tra le linee nemiche. Unica difesa contro gli screamers (così chiamati per l’agghiacciante stridore di lame rotanti che emettono) è un braccialetto in dotazione all’alleanza che permette a chi lo indossa di non essere riconosciuto come bersaglio.
Sono passati oramai dieci anni dallo scoppio del conflitto e i pochi sopravvissuti dell’alleanza vivono un’esistenza di estenuante attesa asserragliati nella loro roccaforte, con contatti sempre meno frequenti con il centro di comando terrestre ed esclusi dai giochi di potere che si consumano sulla Terra e hanno già stabilito la sorte di tutti loro. Fino a quando inaspettata arriva dal comando NEB la proposta di una tregua. Dato che quel che resta del messaggero può essere facilmente riposto in una ventiquattrore in seguito ad un incontro ravvicinato con gli screamers e nonostante i dubbi sull‘autenticità del messaggio, il disilluso sergente Hendricksson (Peter Weller) decide di recarsi personalmente al quartier generale NEB per negoziare una tregua. Seguiremo quindi Hendricksson, accompagnato dal tiratore scelto Jefferson e sotto la costante minaccia degli screamers, nel suo viaggio attraverso il desolato e radioattivo pianeta Sirius 6B dove verrà a confrontarsi con una nuova e inquietante verità. Gli screamers hanno raggiunto un’intelligenza tale da autoriprodursi ed evolversi in nuovi ed efficaci modelli. Sotto sembianze umane chiunque potrebbe essere uno di loro…

Il film è tratto dal racconto breve di Philip k. Dick “Second Variety” (Modello Due, 1953) ma se ne discosta per quanto riguarda l’ambientazione, che originariamente si svolgeva sulla luna e prevedeva una guerra tra i classici blocchi contrapposti USA-Russia. Ci troviamo di fronte ad un riuscito connubio tra fantascienza ed horror che svolge bene il suo lavoro nonostante il budget modesto e una sceneggiatura che, pur non snaturando alcuni temi cari allo scrittore, presenta nella seconda parte troppi clichè e lascia molti interrogativi aperti. Domande su cosa comporti l’evoluzione fisica ed emotiva degli screamers rimarranno relegati sullo sfondo. L’ambientazione, soprattutto nella prima parte, rappresenta uno degli aspetti più riusciti, esibendo paesaggi dal sapore post-industriale, con installazioni minerarie in disuso colme di detriti e ammantate di neve. Nella seconda parte, con il raggiungimento della base NEB, i rimandi ad Alien si fanno palesi, tra gelidi corridoi di servizio e il look stesso degli screamers. Da questo punto i colpi di scena si basano unicamente sull’effetto sorpresa per chi risulterà essere una macchina. La diffidenza di Dick nei confronti del genere umano qui si palesa nella paranoia di Hendricksson che non è più in grado di distinguere la vera natura di coloro che gli stanno a fianco.
In definitiva un gradevole b-movie, con effetti speciali che faranno felici i nostalgici della stop-motion e del morphing e che centra in pieno il suo obbiettivo: essere un valido intrattenimento. L’ambientazione fra il post-apocalittico e il claustrofobico fa il resto. La sceneggiatura di Dan O'Bannon (vero guru del genere, Alien e Dark Star tra i suoi lavori) svolge bene il suo dovere (nei limiti di un film d’intrattenimento e considerando le trenta pagine scarse del materiale di partenza) e non annoia.
In perfetto stile dickiano anche il siparietto inerente al fumo. Dick era un fumatore accanito e faceva fumare i suoi personaggi come turchi. Su un Sirius 6B fortemente contaminato l’unico modo per neutralizzare l’effetto delle radiazioni consiste nel fumare delle speciali sigarette. Essere salutisti in un mondo allo scatafascio è davvero l’ultima delle preoccupazioni.

Nel 2009 è uscito un seguito direttamente per il mercato home video, Screamers The Hunting, che non aggiunge nulla di nuovo alla storia originale e punta tutto sull’effetto splatter che l’accoppiata lame-corpi è capace di offrire.

lunedì 23 novembre 2009

Pandorum - Recensione

Pandorum
USA/Germania, 2009, colore, 108 min
Regia: Christian Alvart
Sceneggiatura: Travis Milloy
Cast: Dennis Quaid, Ben Foster, Cam Gigandet, Antje Traue, Cung Le, Norman Reedus

Due membri dell’equipaggio dell’astronave Elysium, il caporale Bower (Ben Foster) e il tenente Payton (Dennis Quaid), si risvegliano improvvisamente dal sonno criogenico con una momentanea perdita di memoria a breve termine. L’astronave, apparentemente deserta, presenta pochi servizi di bordo funzionanti ed è costantemente avvolta dall’oscurità. Man mano che i ricordi affiorano in superficie la situazione si rivela sempre più critica a causa di un guasto al reattore della nave, che se non riavviato avrebbe conseguenze deleterie. Su tutto aleggia la sindrome di Pandorum che presenta tra i suoi sintomi allucinazioni e comportamento violento. Bower, in contatto radio con Payton, si avventura quindi nei meandri dell’astronave per riavviare il reattore prima che sia troppo tardi. Scoprirà ben presto di non essere solo…

Pandorum è essenzialmente un action-horror travestito da film di fantascienza. Nessun sottotesto metaforico o attenzione scientifica per i particolari ma una (mal)sana visione da incubo in grado di rendere in maniera efficace il senso di paranoia e claustrofobia che attanaglia i protagonisti. Se cercate un film capace mantenere il tasso di tensione costantemente a livelli di guardia a scapito di una trama che sicuramente non presenta l’originalità tra i suoi pregi, allora questo è il film che fa per voi. Pur saccheggiando in maniera plateale da film quali Alien, The Descent e Punto di non Ritorno (non a caso troviamo Paul W.S. Anderson alla produzione) era da tempo che non si respirava un’atmosfera così dark e claustrofobica in una produzione sci-fi. Nulla di nuovo dal punto di vista estetico ma la sensazione di minaccia incombente garantita da condotti di ventilazione e locazioni in sfacelo non è mai da sottovalutare. Se efficace è la ricostruzione degli interni della nave spaziale, altrettanto non si può dire della fotografia. Quest’ultima si rivela in alcuni momenti esageratamente scura tanto da rendere difficile capire cosa stia succedendo. La stessa difficoltà si può riscontrare in alcune scene d’azione, penalizzate da un montaggio troppo veloce e frammentario. Le creature che popolano il film non sono nuove ma risultano davvero terrificanti, complice anche il contributo degli Stan Winston Studio per il make-up. Ferali e velocissimi, sembrano una combinazione tra i mostri di The Descent e gli orchi del Signore degli Anelli. Abbastanza intelligenti da essere in grado di cacciare con trappole e utilizzare armi ma nel contempo brutali quando si avventano sulle loro vittime dilaniandole con unghia e denti. Almeno non si conformano agli stessi noiosi canoni di zombie senza cervello e il loro approssimarsi, quasi sempre annunciato dalla luce blu delle fiamme ossidriche che si portano appresso, fa salire la tensione in modo considerevole.
Lo script è decisamente lineare ma viene controbilanciato dalla scelta dello sceneggiatore di utilizzare l’espediente dell’amnesia. La memoria frammentaria di Bower permette di costruire mistero grazie alla prospettiva di un estraneo e lo spettatore, che condivide le stesse confuse informazioni del protagonista, intraprende con lui un viaggio alla scoperta dei misteri della nave. Misteri che alla fine andranno ricercati negli anfratti più oscuri della memoria.
Ottimo il ristretto cast: Dennis Quaid, nonostante ultimamente abbia fatto scelte professionali poco felici (G.I. Joe, Horsemen) è sempre bravo così come il versatilissimo Ben Foster, una garanzia qualsiasi ruolo interpreti. I comprimari svolgono bene il loro compito sebbene si tratti di personaggi appena abbozzati e il vietnamita Cung Le serve unicamente per rendere più spettacolari le scene d’azione.

Night Train - Sottotitoli

Night Train
USA, 2009, colore, 83 min
Regia: Brian King
Sceneggiatura: Brian King
Cast: Danny Glover, Leelee Sobieski, Steve Zahn
Richard O'Brien, Constantine Gregory

Tre estranei, ognuno con i propri problemi esistenziali, si incontrano su un treno notturno la vigilia di Natale. Chloe (Leelee Sobieski) è una giovane studentessa di medicina che si sente intrappolata in un futuro che non ha scelto, Miles (Danny Glover) un anziano capotreno con spese mediche da pagare e Peter Dobbs (Steve Zahn) un agente assicurativo fallito ed alcolizzato. La vicenda si complica quando un misterioso passeggero muore e viene rinvenuta tra le sue cose una scatola che sembra contenere la risposta a tutti i loro problemi. Lavoreranno insieme per mantenere la morte segreta e dividersi il contenuto della scatola oppure prevarrà l’avidità e la disperazione e cercheranno di eliminarsi a vicenda?
Tra omaggi al cinema noir del passato ed evidenti similitudini con Piccoli Omicidi tra Amici c’è spazio anche per l’elemento soprannaturale.
Prima prova registica dello sceneggiatore di Cypher.

Night Train sottotitoli

sabato 21 novembre 2009

Edges Of Darkness - Sottotitoli

Edges Of Darkness

USA, 2009, colore, 87 min


















Prodotto indipendente a budget irrisorio.
In un mondo popolato dagli zombie si intrecciano le storie di tre gruppi di sopravvissuti: una coppia di vampiri per necessità, un uomo ossessionato dai computer e dalla stesura del suo romanzo-diario che trascura la moglie ed una donna che salva la vita ad una madre e suo figlio. Fa capolino anche l’anticristo che non è affatto contento di questo nuovo inferno. Il regista è sicuramente un grande fan di Romero. Dawn Of The Dead viene omaggiato a più riprese così come classica è la rappresentazione degli zombie, con il loro incedere lento come vuole la tradizione. Ambienti spogli, personaggi in precario stato mentale che fanno discorsi assurdi e recitazione ai minimi storici, che volete di più?

Se non riuscite a vivere senza zombie ecco i sottotitoli in italiano.

Edges Of Darkness sottotitoli

Avalon - Recensione

Avalon
Giappone/Polonia, 2001, colore, 106 min
Regia: Mamoru Oshii
Sceneggiatura: Kazunori Ito, Mamoru Oshii
Cast: Malgorzata Foremniak, Wladyslaw Kowalski, Jerzy Gudejko

Mamoru Oshii, universalmente noto per il suo cult movie cyberpunk Ghost in the Shell (ispirato al manga di Masamune Shirow), decide nel 2001 di lanciarsi nel suo primo progetto con attori in carne ed ossa.
Nonostante il salto ad una produzione dal vivo, il film presenta sia dal punto di vista formale che dei contenuti tutti i tratti distintivi dei precedenti lavori del regista. Ritmo lento (in questo caso soporifero) e speculazioni filosofiche sulla vera natura della realtà non troveranno impreparati i molti fan del regista. La storia si svolge in un distopico e smorto futuro, nel quale l’unica via d’uscita dall’apatia è rappresentata da un videogioco chiamato Avalon. Si tratta di una simulazione virtuale a sfondo bellico capace di suscitare emozioni reali. Il gioco è illegale in quanto è presente la possibilità che la mente (o meglio il ghost, per usare un termine caro al regista) rimanga intrappolata nel gioco, lasciando il corpo fisico allo stato vegetativo. Il nome, non a caso, prende spunto dalla leggendaria isola, dove riposano le anime degli eroi morti, presente nel ciclo arturiano. La protagonista, Ash (Malgorzata Foremniak), guerriero di Classe A, un tempo faceva parte della squadra più forte in Avalon. La squadra si sciolse a seguito del reset del programma operato da uno dei membri, preso dal panico per il fuoco nemico. Da quel momento Ash perde le tracce degli altri componenti del team, incluso il caposquadra Murphy, e diviene un guerriero eccezionale che cerca di vincere il gioco in solitario. Comincia a nutrire una personale ossessione per un livello segreto nascosto nel gioco chiamato Classe A Special, privo della funzione di reset. Se il livello non viene completato, non si torna indietro e si finisce a sbavare in qualche ospizio. Ed Ash, con l’intento di ritrovare Murphy e portarlo indietro, cercherà disperatamente di accedervi.
Visivamente, Avalon esprime il suo massimo potenziale. Chi ha visto gli altri lavori di Oshii non faticherà a riconoscere inquadrature con i medesimi angoli di campo e lo stesso uso delle luci dei suoi anime. I movimenti di macchina sono quasi del tutto assenti e chi si aspetta massicce dosi d’azione nelle sequenze in-game rimarrà deluso. A farla da padrone sono invece splendide inquadrature fisse con una composizione del quadro perfettamente bilanciata, rese ancora più affascinanti dalla fotografia color seppia che ricorre per buona parte del film. Senza infamia e senza lode gli effetti speciali digitali, tenendo conto dell’anno d’uscita del film e della vertiginosa evoluzione tecnica a cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Il ritmo del film, in pieno stile Oshii, è implacabilmente lento, con lunghe scene della vita di tutti i giorni che ne dovrebbero sottolineare la monotonia e la ripetitività in contrapposizione all’esaltante esperienza di gioco. Sarà, ma dopo 5 minuti che vengono riprese nel dettaglio le varie fasi della preparazione della cena (proprio tutte fino alla cottura) sembra di assistere più ad una puntata della Prova del Cuoco.
La trama è un mero pretesto per le elucubrazioni cyberpunk-filosofiche di Oshii. Non avviene praticamente nulla e ci si sveglia dal torpore solo in occasione del raggiungimento dell’agognata Classe A Special (o Classe Real), dove diciamo addio al filtro seppia per trovarci di fronte ad una rappresentazione classica della realtà. Si tratta, infatti, di una simulazione avanzata che corrisponde alla vita reale dei nostri giorni e si trova in netta contrapposizione con il mondo “reale” di Ash. Il tempo della scelta è giunto.

giovedì 19 novembre 2009

O-Bi O-Ba Koniec Cywilizacji - Recensione e Sottotitoli

O-bi, O-ba - Koniec cywilizacji
Polonia, 1985, colore, 88 min
Regia: Piotr Szulkin
Sceneggiatura: Piotr Szulkin
Cast: Jerzy Stuhr, Krystyna Janda, Marek Walczewski, Jan Nowicki

Al termine della guerra nucleare che ha flagellato il mondo, i pochi sopravvissuti, sotto la guida di un’elite militare, trovano riparo in una struttura sotterranea fornita di una cupola che li protegge dal mondo esterno. Mentre fuori infuria l’inverno nucleare, i pochi rimasti attendono l’arrivo di una misteriosa Arca che dovrebbe condurli verso la salvezza e l’inizio di una nuova civiltà. In un desolante panorama di derelitti assediati dal freddo e dalla fame, si muove Soft (Jerzy Stuhr, attore feticcio del regista), appartenente all’elite militare ma assolutamente refrattario ad indossare la divisa. Fine conoscitore della natura umana, Soft è l’ideatore dell‘immaginaria Arca, astuto artifizio dettato dalle circostanze e unica fonte di speranza per buona parte della popolazione del bunker. Ma la cupola comincia a dare segni di cedimento…
O-bi, O-ba - Koniec cywilizacji (La Fine della Civiltà), inedito in Italia, è una piccola gemma del sottogenere post-apocalittico che merita senza dubbio una riscoperta. Realizzato con budget modesto, il film è ambientato unicamente in interni e mescola efficacemente toni cupi con sprazzi di umorismo nero. Saremo chiamati a seguire Soft in spogli corridoi immersi nella gelida luce blu al neon che conferisce un’atmosfera ancora più opprimente e a tratti surreale. Durante la sua ricerca di una via di scampo reale da una fine ormai imminente, verrà in contatto con esemplari di varia umanità che rispecchiano con la propria miseria morale i vari aspetti di una civiltà in disfacimento e prossima alla fine. Ognuno di loro tenta di vivere la propria condizione di estenuante attesa per una nuova Arca di Noè in modi diversi. C’è chi tenta di sfuggire all’apatia trovando rifugio nella fede dell’arca, chi non smette di combattere una guerra ormai finita e chi accetta semplicemente la morte.

L’opera di Szulkin è permeata da un simbolismo politico/religioso piuttosto evidente che nel secondo caso si trasforma in divertito sberleffo. A partire da Soft, novello messia che promette una salvezza basata sulla menzogna, per finire con alcune battute sulla bibbia catalogata come narrativa, senza mancare di sottolineare come la fede possa spesso trasformarsi in fanatismo. Ma come ci ricorda Szulkin, il destino dell’uomo è unicamente nelle sue mani. E se queste mani rispondono unicamente a bisogni egoistici e materiali, allora la salvezza, anche se a portata di mano, rimarrà un miraggio.
Nota di merito per Jerzy Stuhr nei panni del malinconico Soft e buono il resto del cast , con alcuni personaggi un po’ macchiettistici ma in sintonia con l’atmosfera generale.
Film consigliatissimo per gli amanti del (sotto)genere post-apocalittico (qui rivisitato in maniera molto personale) e della fantascienza in generale.

Ed ecco per voi i sottotitoli in italiano ad opera di Freezone.
Buona visione!

O-Bi O-Ba Koniec Cywilizacji sottotitoli

mercoledì 18 novembre 2009

2012 - Recensione

2012
USA, 2009, colore, 158 min

Regia: Roland Emmerich

Sceneggiatura: Roland Emmerich

Cast: John Cusack, Chiwetel Ejiofor, Amanda Peet, Oliver Platt, Thandie Newton,
Danny Glover, Woody Harrelson

Come previsto dal calendario Maya, la fine del mondo è vicina. Lo smottamento delle placche terrestri, causato dal surriscaldamento del nucleo in seguito a una violenta eruzione solare, e i conseguenti tsunami non lasceranno scampo alla popolazione mondiale.
Tre anni prima del fatidico evento i governi del pianeta si adoperano in segreto per garantire la sopravvivenza della specie. Per la modica cifra di un milione di euro, i potenti della terra potranno assicurarsi un biglietto per le novelle Arche di Noè realizzate in Cina. Roland Emmerich non si lascia sfuggire l’ennesima occasione per sconquassare la Terra in questa catastrofica macchina per fare soldi e, visti gli incassi, per assicurarsi il suo posto sull’arca. Inutile dire che il requisito essenziale della visione è lo spegnimento del cervello per i quasi 160 minuti del film in modo da poter godere appieno delle deliranti ed esagerate scene d’azione. La suspension of disbelief naturalmente è d’obbligo così come la visione su grande schermo e un volume degno di un concerto dei Motorhead. Gli spettacolari effetti speciali, tra eruzioni vulcaniche, terremoti, grattacieli e monumenti celebri che crollano, non deluderanno di certo gli appassionati del genere. I protagonisti sono assolutamente fedeli agli standard di Emmerich, che vogliono l’uomo comune in circostanze straordinarie. Gli eroi duri e puri che sfornano battute tamarre a raffiche rimangono una prerogativa del collega Michael Bay. Spetterà dunque a Jackson Curtis (John Cusack), misconosciuto scrittore separato e padre di due figli, il compito di dare il buon esempio incarnando quell’umanità che quando la catastrofe si avvicina deve assolutamente riscoprire i valori fondamentali, in primo luogo la famiglia. Seguiremo quindi il prode Jackson fino in Cina, con ex moglie e prole al seguito, in cerca della salvezza. Naturalmente i personaggi seguono clichè talmente consolidati che la loro sorte è un libro aperto. Vale un’unica regola: più le azioni da intraprendere sono stupide e pericolose più ci si getta a capofitto. Motivo per cui gli aerei devono per forza passare in mezzo a due palazzi che crollano piuttosto che girarci attorno. Ma il nostro Jackson è un uomo pieno di risorse. Non solo, nonostante la pancetta, è in grado di prodursi in sprint degni di Usain Bolt ma è anche un provetto guidatore che riesce a far spiccare balzi sia alle limousine che addirittura ai camper. Chiudono il cerchio i potenti della terra tra i quali troviamo un presidente nero inevitabilmente nobile d‘animo (Danny Glover), una sosia della Merkel con 30 chili di meno e dulcis in fundo un premier italiano (strano mix tra Dario Argento e Dini) che deciderà di aspettare la fine del mondo in preghiera vicino al suo popolo (!). Difficile dire se la scelta sia stata dettata dall’ironia o dalla stereotipata concezione che gli americani hanno dell’Italia e del resto del mondo in generale.
Già in previsione un sequel, 2013, sotto forma di miniserie televisiva
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