mercoledì 2 dicembre 2009

Hardware - Recensione

Hardware
UK, 1990, colore, 93 min
Regia: Richard Stanley
Sceneggiattura: Steve Macmanus, Kevin O'Neill
Cast: Dylan McDermott, Stacey Travis, John Lynch, William Hootkins, Iggy Pop, Lemmy Kilmister

L’incipit di Hardware è di quelli che lasciano il segno. Un uomo cammina solitario in un deserto spettrale, chiamato la “Zona“, fotografato nei toni del rosso e dell‘arancione. Una maschera antigas gli copre il volto. Attraversa quel che rimane di una recinzione inoltrandosi in quella che doveva essere una zona vietata. L’uomo è uno scavenger, un nomade solitario che compie lunghi peregrinaggi attraverso una terra desertificata e altamente inquinata alla ricerca di qualsiasi oggetto possa rivelarsi utile. Trova nella sabbia i resti di un cyborg e impossessatosi della testa si avvia verso la prima degradata città.

Ci troviamo di fronte ad uno degli esempi meglio riusciti di estetica cyberpunk e più precisamente della sua corrente maggiormente “punk“ incarnata da scrittori come John Shirley ed intrisa di simbolismo apocalittico. Niente cowboy del cyberspazio o nanotecnologia applicata quindi, ma un efficace ed energico film di fantascienza che riesce a sopperire con intelligenza al basso budget. I vari rimandi al Nirvana e la spiritualià New-Age di alcuni personaggi non si elevano al di là di note di colore.

La scena si sposta in città dove Moses Baxter (Dylan McDermott, la star del telefilm The Practice, imbambolato e monoespressivo come sempre) riesce ad aggiudicarsi la testa per portarla in dono alla sua fidanzata Jill (Stacey Travis), scultrice specializzata in installazioni post-industriali. L’idea non si rivela saggia. La testa appartiene allo sperimentale modello MARK 13, ideato come (sanguinosa) alternativa al controllo delle nascite su una Terra che oramai può garantire pochi mezzi di sostentamento e programmato per eliminare qualsiasi essere umano gli capiti a tiro. Inoltre è in grado di rigenerarsi con materiali di fortuna ed in casa di Jill il metallo non manca. Per Jill e il vicinato sarà una lunga notte.

Tra i film sfacciatamente omaggiati troviamo Mad Max, Profondo Rosso e naturalmente Terminator. La vera star di Hardware, come nel film da cui trae maggiormente ispirazione, rimane il crudelissimo cyborg con il consueto armamentario di seghe circolari e trapani integrati che faranno la felicità di ogni amante del sangue a spruzzi. Il suo animatronic ci riporta ad un cinema ancora saldamente ancorato alla sua dimensione più fisica e materiale, prima dell’avvento degli effetti speciali digitali.
I colori dominanti sono il rosso e l’arancione che ben si prestano sia per le riprese in esterni, donando al deserto un’aura ancora più apocalittica, sia per gli interni, dando agli ambienti quel tocco futuristico in più. A sottolineare il budget risicato, la maggior parte del film si svolge all’interno dell’appartamento di Jill e nelle immediate vicinanze. La scelta di mostrare poche locazioni ma ricche di dettagli si dimostra vincente. Il montaggio videoclipparo evidenzia i trascorsi dell’allora esordiente Richard Stanley come regista di spot pubblicitari, che qui realizza senza dubbio il miglior film della sua ristretta filmografia.
Cameo di Lemmy dei Motorhead nei panni del tassista che ascolta alla radio il gruppo d’appartenenza, mentre Iggy Pop presta la voce disc-jockey Angry Bob.




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