martedì 30 marzo 2010

eXistenZ - Recensione

eXistenZ
Canada/UK, 1999, colore, 97 min
Regia: David Cronenberg
Sceneggiatura: David Cronenberg
Cast: Jennifer Jason Leigh, Jude Law, Ian Holm, Willem Defoe, Don McKellar, Sarah Polley, Callum Keith Rennie, Christopher Eccleston

eXistenZ si svolge in un mondo indeterminato. Ci troviamo nella campagna canadese, in una chiesa sconsacrata dove la multinazionale Antenna Research presenta il suo ultimo prodotto: il gioco eXistenZ. Ad un publico selezionato che comprende la creatrice del gioco Allegra Geller (Jennifer Jason Leigh) spetta il compito di testarlo. Il nuovo dispositivo di gioco, il gamepod metacarnale, non è elettronico bensì organico. Si tratta di una sorta di organismo artificiale in grado di interfacciarsi direttamente al sistema nervoso tramite un cordone ombelicale connesso ad una bioporta impiantata nella spina dorsale. La particolarità di connettersi direttamente nel sistema nervoso senza medium, senza schermo, fa sì che nel gioco eXistenZ non si abbia più alcuna separazione tra la realtà e la rappresentazione. In maniera analoga nel film non sono segnalati i passaggi fra i diversi piani della realtà: nessun ricorso a filtri, effetti speciali o altri artifizi del genere.

Non appena i giocatori si sono collegati, uno spettatore estrae una pistola organica fatta di ossa e cartilagini e spara sulla Geller. Esiste infatti una minoranza ferocemente ostile al gioco, i "Realisti", che ha pronunciato una fatwa contro l'inventrice del gioco, colpevole di aver ideato una fin troppo efficace deformazione della realtà. Non a caso durante un’intervista Cronenberg ha dichiarato che lo spunto dell’opera gli sarebbe stato fornito da un incontro con Salman Rushdie, l’autore de I versi satanici, sulla cui testa pende tuttora una condanna a morte. Rushdie, riscrivendo la storia di Maometto, ha obbligato i credenti islamici a mettere in discussione la loro concezione teocentrica della realtà. Per non farlo essi sono disposti a sopprimere lo scrittore “blasfemo” e distruggere il suo libro per ristabilire i fondamenti della loro visione del mondo.

Allegra viene ferita alla spalla ma riesce a fuggire grazie all’aiuto di Ted Pikul (un ottimo Jude Law), un giovane stagista. Durante la sparatoria il gamepod contenente l’unica copia di eXsistenZ è stato danneggiato e l’unico modo per verificarne l’integrità è quello di giocare con qualcuno. Una volta che i due riescono a connettersi, l’unico modo per lo spettatore di distinguere i personaggi creati dal gioco dagli individui giocanti sta nel fatto che i primi rimangono spesso bloccati in un game loop. Restano cioè bloccati sull’ultima azione (o continuano a ripetere la stessa domanda) in attesa che la frase giusta li liberi da quella specie di stasi. Ma anche al di fuori di eXistenZ i protagonisti hanno a volte comportamenti analoghi (Allegra chiede continuamente a Pikul “sei mio amico o no?”): siamo sicuri di essere nella realtà?
Cronenberg non offre alcun punto di riferimento allo spettatore in quest'universo a scatole cinesi. Nell'ultima sequenza scopriamo che lo stesso gioco eXistenZ non esiste in quanto facente parte di una “realtà di base” che è solo una finzione, uno dei molteplici universi virtuali di un gioco chiamato tranCendenZ. Pensiamo di essere tornati alla realtà ma esattamente alla fine del film, la domanda di un personaggio che si ritrova nella medesima situazione vissuta in eXsistenZ mischia nuovamente le carte in tavola mettendo in causa la visione a cui si è assistito: “Siamo ancora nel gioco”? La sovversione della nozione di reale cinematografico, la frontiera tra diegetico e non diegetico, diviene assoluta.

Film complesso, infarcito di allusioni sessuali in perfetto stile Cronenberg e fortemente debitore del capolavoro Videodrome (peraltro citato in numerose occasioni, dalla pistola organica che sembra uscita dal ventre di Max Renn alla somiglianza di alcune battute), ne rappresenta una versione meno orginale adattatata alle nuove tecnologie.

venerdì 12 marzo 2010

News Cinema Fantascienza 2010

Dopo il post sui film di fantascienza più attesi da Freezone (e le delusioni di The Road e Daybreakers) è tempo di rinfoltire le fila.

Cominciamo con un aggiornamento: la Videa-CDE ha acquistato i diritti per la distribuzione italiana di Splice di Vincenzo Natali: Dren, l’ibrido donna-animale frutto dell’incoscienza degli scienziati Adrien Brody e Sarah Polley, approderà sugli schermi a settembre.

I fan di Philip K. Dick potranno gioire (o meglio inorridire, ripensando a Next, Paycheck e Minority Report) nel sapere che l’adattamento del libro Radio Free Albemuth è stato completato. Ad oggi non è ancora disponibile alcun trailer quindi lavorate d’immaginazione.

Frame 137 è un cortometraggio d’azione post-apocalittico basato sul lavoro di James O’Barr, creatore de Il Corvo. Vedere questo ragazzino di dieci anni dal ciuffo emo che a suon di arti marziali riempie di legnate i cattivi di turno mi ha già costretto a trattare lo schermo come la Medusa, guardare da un’altra parte. Per i più temerari ecco il teaser.

Facciamo capolino in Giappone per Asaruto gâruzu (Assault Girls), l’ultima fatica di Mamoru Oshii. Si ritorna all’interno di un videogame e il trailer ci mostra un massiccio ricorso alla computer graphics e personaggi in linea con l’ambientazione che si divertono a scaricare un arsenale sui parenti prossimi dei vermi della sabbia di Dune. Detto questo, Oshii non mi frega più e sono pronto a scommettere che sarà l’unica scena del genere in tutto il film e, come in Avalon, i tempi morti regneranno sovrani.

Di chiara ispirazione nipponica è Archangel Alpha, film indipendente dove due opposte fazioni si sfidano per il controllo di un pianeta non specificato a bordo di giganteschi robot. La guerra avrà le sue ripercussioni sulle immancabili storie d‘amore e d‘amicizia. Classico prodotto senza pretese utilizzato da un regista esordiente per mostrare la propria dimestichezza con gli effetti speciali. Bisognerà aspettare l’autunno per sapere se sono all’altezza.

Proseguiamo in territorio a basso costo con 2084, a sottolineare che il filone post-apocalittico non muore mai. Gli elementi sono sempre gli stessi: virus letale, scarsità di cibo e atmosfere claustrofobiche. Il modo in cui verranno gestiti i rapporti tra i personaggi ne decreterà il successo o la disfatta tra i cultori del genere.

Desta curiosità la prima clip di Monsters anche se non è ancora chiaro in che direzione si muoverà il film. Sei anni prima dell’inizio della vicenda la NASA ha scoperto la presenza di vita aliena nel nostro sistema solare. Viene inviata una sonda per raccogliere campioni che al ritorno sulla Terra precipita in America centrale. In seguito alla comparsa di nuove forma di vita nell’area, una vasta porzione del Messico viene dichiarata zona infetta e messa in quarantena. La clip è estratta dall’inizio del film quando un giornalista americano riesce a penetrare all’interno della zona infetta. Attendiamo nuove anticipazioni.

Dopo l’ottimamente concepito Sleep Dealer, il Messico si affaccia nuovamente al genere fantascientifico con 2033. Ispirato alla rivolta dei cristeros, ci trasporta nel Messico del 2033 (ma guarda un po’) dove un governo militare detiene il controllo della società imponendo leggi restrittive per la libertà religiosa e d’espressione, obnubilando al contempo le menti dei cittadini grazie ad una bevanda che crea assuefazione, la “Pactia”. Un gruppo di ribelli guidati da un prete in incognito cercherà di rovesciare il sistema. Qui il trailer.

L’australiano Eraser Children, vincitore di diversi premi in patria, si appresta a sbarcare allo Sci-fi-London Film Festival. Siete pronti ad avventurarvi nel regime globale della Misner Corporations e alla sua lista di violazioni della legge lunga un chilometro? Stando al trailer, Eraser Children si preannuncia surreale, ricco di invenzioni visive e pervaso dallo spirito di Brazil, facendo del basso costo una virtù. Terry Gilliam potrebbe aver trovato un degno sostituto.

Il remake di Red Dawn (Alba Rossa) farà la sua apparizione negli Stati Uniti il 24 novembre. L’ultrapatriottico film originale diretto da John Milius narrava l’invasione degli Stati Uniti da parte dell’esercito russo-cubano-nicaraguense e si focalizzava sulla guerrilla antisovietaca di un gruppo di liceali. Nel 2010 la guerra fredda è finita da un pezzo e questa volta toccherà alla Cina, nuovo spauracchio grazie alla sua vertiginosa crescita economica, incarnare la minaccia. Di sicuro non si lesinerà sull’azione e sulla presenza di bandiere a stelle e strisce.

lunedì 8 marzo 2010

Alien³ - Recensione

Alien³
USA, 1992, colore, 114 min
Regia: David Fincher
Sceneggiatura: Walter Hill, David Giler, Larry Ferguson
Cast: Sigourney Weaver, Charles Dance, Charles S. Dutton, Lance Henriksen, Brian Glover, Ralph Brown, Danny Webb, Pete Postlethwaite

Nel 1992 il franchise di Alien giunge alla sua terza incarnazione cinematografica. La regia venne affidata all’allora esordiente David Fincher, proveniente dai videoclip e che qualche anno più tardi avrebbe raggiunto la fama con Se7en. Sommerso dalle critiche all’epoca della sua uscita (compresi alcuni nomi eccellenti), Alien³, pur non essendo all’altezza dei suoi predecessori e presentando difetti non trascurabili, non è un prodotto da buttare. Rimane il rimpianto per il film che sarebbe potuto essere se avesse goduto di una sceneggiatura che non fosse il collage di svariati tentativi precedenti che per un motivo o per l’altro vennero accantonati dalla produzione. Alla lunga e travagliata stesura dello script infatti si avvicendarono un numero impressionante di sceneggiatori, tra nomi noti e futuri registi. Inizialmente la sceneggiatura venne affidata al padre del cyberpunk William Gibson. Questa prevedeva l’attracco dei quattro sopravvissuti di Aliens su una stazione orbitale russa, sede di esperimenti genetici, per poi spostarsi su una Terra ormai invasa dagli xenomorfi. Non è chiaro il motivo per cui non venne utilizzata ma, secondo l’ultima versione, pare che il budget a disposizione non fosse all’altezza del progetto. Lo script è comunque reperibile a questo indirizzo. Nel caos che seguì, tra le sceneggiature abortite che lasciarono traccia di sé nello versione finale troviamo quelle di David Twohy e Vincent Ward. Il primo ebbe l’idea di situare la storia su una colonia penale mentre la visione di Ward, regista del suggestivo fantasy Navigator, prevedeva che il film fosse ambientato all’interno di una cattedrale gotica abitata da monaci che rifiutano qualsiasi forma di tecnologia vivendo come fossero nel medioevo. Alla fine ci pensò Walter Hill, autore della prima bozza del film, a fare un collage mantenendo lo spunto di Twohy sul pianeta prigione e adattando le idee di Ward al nuovo contesto. I detenuti che abbracciano una fede apocalittica sono la diretta evoluzione dei monaci di Ward.

Qualcosa va storto a bordo della USS Sulaco. Un incendio causa l’espulsione della navetta di salvataggio contenente i tubi criogeni dei superstiti della spedizione sul pianeta LV-426. L’atterraggio su Fiorina “Fury” 161 non è dei più felici. Al suo risveglio Ripley (Sigourney Weaver) scopre di essere l’unica sopravvissuta e di trovarsi su un’ex colonia penale di massima sicurezza, adesso adibita a fonderia, abitata da circa una ventina di detenuti che hanno deciso di restare e mantenere viva la fiamma pilota dell’altoforno. I galeotti, stupratori e assassini della peggior specie, hanno trovato in Dillon (Charles S. Dutton) una guida spirituale, finendo per abbracciare una sorta di fondamentalismo cristiano di stampo millenarista. A supervisionare questa feccia dal doppio cromosoma Y (che secondo una teoria ormai screditata contraddistingueva assassini incorreggibili) vi sono due tirapiedi della compagnia Weyland-Yutani a cui si aggiunge un ufficiale medico dal dubbio passato (Charles Dance). Ripley ha un brutto presentimento e cerca di scoprire cosa sia avvenuto sulla Sulaco riattivando quel che resta del povero androide Bishop (Lance Henriksen). Come risultato scopre di avere un ospite dentro di sé e che la compagnia, al corrente di tutto, è in viaggio per recuperarlo. Contemporaneamente un altro alieno, fuoriuscito dall’unico cane della colonia, comincia a mietere vittime ma rifiuta di uccidere Ripley perché porta in grembo una regina. Inizia così un gioco al massacro nel quale i galeotti fanno la figura degli scolaretti e Ripley sale sugli scudi con il duplice scopo di eliminare il suo arcinemico e se stessa per evitare che la perfida compagnia si appropri della più letale arma biologica dell‘universo.
Com’è evidente la produzione decise di dare un taglio netto con la strada intrapresa da Cameron e vengono eliminati senza starci a pensare troppo ¾ dei personaggi sopravvissuti ad Aliens - Scontro finale. Il primo a rammaricarsene è lo stesso Cameron che nelle dichiarazioni dell’epoca non manca di esternare un vero e proprio odio nei confronti del terzo capitolo della serie ritenendo che vanifichi quanto di buono era riuscito a costruire nel suo film. Esce così di scena il personaggio del caporale Hicks interpretato da Michael Biehn (ex attore feticcio di Cameron), che nella sceneggiatura di Gibson aveva un ruolo da protagonista, e viene sacrificato il rapporto madre-figlia tra il tenente Ripley e la piccola Newt.
Nonostante le lunghe attese cariche di tensione del primo capitolo della serie siano solo un ricordo, le dinamiche di Alien 3 sono le medesime: un solo alieno e la sua caccia agli sfortunati di turno. Quest’ultimo, in quanto “nato” da un animale, presenta caratteristiche diverse dagli Alien precedenti per quanto riguarda agilità e movenze ma non se ne discosta più di tanto nel look. La produzione per il design dell’Alien contattò inizialmente il creatore originale, il geniale e malatissimo artista svizzero H.R. Giger, che non avrà comunque modo di realizzare il nuovo tipo di xenomorfo dalle spiccate componenti femminili che aveva in mente. Per questioni di tempo si decise di adottare il vecchio modello con qualche piccolo ritocco ma soprattutto di ricorrere ad una CG ancora agli albori che mostra impietosamente gli anni sul groppone. L’alieno meccanico compare ancora nei piani ravvicinati come nella bella inquadratura del volto terrorizzato di Ripley a pochi centimetri da quello dell’alieno, mentre è completamente realizzato in CG quando compare a figura intera e i risultati vanno dal brutto all’imbarazzante. Molto evocativi invece gli scorci del pianeta, che in linea con i mondi della serie è caratterizzato da condizioni climatiche impervie.
Purtroppo la presenza di una sceneggiatura che non è altro che un insieme di spunti messi insieme si riflette anche sul comportamento fin troppo prevedibile dell’alieno e tutto si riduce a un facile gioco “indovina la prossima vittima”.
Il fattore che permette ad Alien 3 di salvarsi e di far dimenticare allo spettatore l’inconsistenza del film è l’affascinante atmosfera cupa e apocalittica con richiami medievaleggianti. In questo contesto dove di tecnologico non funziona quasi più nulla e dove i detenuti si sono riuniti in una setta religiosa, l’Alien viene da subito ribattezzato come “Il Drago“, fatto che gli conferisce a pieno diritto lo status di paura primordiale.
Dal canto suo Fincher non possiede la genialità di uno Scott o di un Cameron ma si produce in qualche guizzo degno di interesse: dopo il Predator anche l’Alien può beneficiare della sua soggettiva durante i vorticosi inseguimenti nel dedalo di corridoi con visuale rovesciata. Certo non siamo ai livelli di tensione prodotti dal getto di un lanciafiamme che passo passo illumina l’oscurità di un condotto o da un rilevatore di movimento impazzito ma meglio che niente. Molto riuscito il finale che apparentemente non lasciava spazio ad ulteriori sequel.

Ecco alcuni artwork dell' Alien³ che non vedremo mai e che si basano sulla visione gotica di Vincent Ward. Sono opera dell'architetto Lebbeus Woods, coinvolto nel progetto durante l'estate del 1990.


Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...