giovedì 13 ottobre 2011

Paths of Hate

Era da tempo che non mi capitava di galvanizzarmi così tanto per un corto. Lo studio di post produzione polacco Platige Image si dimostra ancora una volta un’incredibile fucina di talenti e stavolta tocca a Damian Nenow guadagnarsi la meritata visibilità. Il combattimento aereo mozzafiato al centro del corto e l’inappuntabile realizzazione tecnica non devono trarre in inganno, non siamo dalle parti del mero esercizio di stile. Paths of Hate un’anima ce l’ha eccome.
Godetevelo nella sua interezza prima che lo facciano rimuovere pure a me!





venerdì 7 ottobre 2011

New Rose Hotel

New Rose Hotel
USA, 1998, colore, 93 min

Regia: Abel Ferrara

Sceneggiatura: Abel Ferrara, Christ Zois

Cast: Willem Dafoe, Asia Argento, Christopher Walken, Yoshitaka Amano, Annabella Sciorra, Gretchen Mol, John Lurie


New Rose Hotel nasce dall’incontro di Abel Ferrara con il titolo del racconto di William Gibson. Sì, col titolo, visto che Gibson risulta non pervenuto. In compenso, gaudio e giubilo, c’è lei, Asia Argento. Non oso immaginare come recitasse in inglese ma quanto cotante attrici si doppiano da sole è musica per le orecchie. Ci penserà la Bellucci a privarla della palma di peggior autodoppiaggio di sempre, e non in una sola occasione. Almeno all’epoca la figlia di quel regista che ha fatto una pessima fine parlava un linguaggio semicomprensibile e non s’era trasformata in un biascicante clone del Bossi post-ictus. Il contesto di questo adattamento sospeso tra porno soft e irritazione è quello classico del Gibson prima maniera. Le corporazioni detengono il potere a livello mondiale sostituendosi di fatto ai governi e combattono tra loro una guerra spietata fatta di spionaggio industriale, contendendosi i servigi di illustri scienziati in grado di spostare gli equilibri di potenza con il proprio talento. Ogni mezzo è lecito, coercizione e rapimento sono la prassi. Fox (Christopher Walken) e X (Willem Dafoe) ricevono dalla multinazionale Hosaka l’incarico di sottrarre lo scienziato Hiroshi (l’illustratore e animatore giapponese Yoshitaka Amano) alla Maas Biolabs. Per raggiungere lo scopo i due ingaggiano Sandii (la già citata Argento), giovane squillo d’alto bordo adescata a Tokyo, affinché seduca Hiroshi e lo convinca a seguirlo abbandonando la famiglia e l‘azienda per cui lavora. X, con sommo piacere, si incarica dell’addestramento softcore della ragazza finendo per innamorarsi del tatuaggio sempre in primo piano della Argento e mandando tutto a rotoli sotto lo sguardo sempre più perplesso di Fox. Senza tradimento che noir sarebbe.
Ferrara, che sembra un lontano parente del regista dallo sguardo scorsesiano di Fratelli o di quello allucinato de Il cattivo tenente, rigetta la struttura originale del racconto di Gibson, un ininterrotto flashback di X che braccato dai sicari della Maas Biolabs attende la fine nella bara di un capsule hotel, e si lancia in una soporifera investigazione dei meccanismi dell’immagine e della visione, affidandosi a soluzioni stilistiche estreme quanto indigeste. La narrazione di fatto si interrompe quando Sandii completa con successo l’incarico e solo con qualche accenno verbale si farà luce sul suo tradimento, sulla spietata ritorsione della Maas Biolabs e il tragico destino di quel fesso di Hiroshi. Da questo momento in poi Ferrara ripete e ricicla numerose scene della prima parte del film, a volte con minime variazioni. Non che prima andasse meglio, un’ora di inquadrature riprese da telecamere di sicurezza, orrendi split screen, immagini che scorrono su dispositivi mobili e altre amenità del genere. La vita è tutta un’illusione e New Rose Hotel è un film sperimentale? Se sperimentale è sinonimo di inguardabile, allora sì, New Rose Hotel è un film sperimentale. Non ci fossero stati due vecchi volponi come Willem Dafoe e un mefistofelico Christopher Walken a palleggiarsi battute con una buona dose di improvvisazione, la situazione sarebbe stata ancora più tragica. Certo se quegli haiku nonsense fossero usciti dalla bocca di un altro avrebbero scatenato irrefrenabili impulsi distruttivi ma a Christopher si perdona tutto. Non che il nostro non abbia mai partecipato a ciofeche colossali, solo che queste non avevano pretese da film d’autore. E in questo caso l’autore in questione sforna una boiata autoreferenziale dove lo stile prevarica sulla sostanza. Come se già non fosse bastato Johnny Mnemonic, ci pensa New Rose Hotel a ribadire la sfortuna che perseguita l’adattamento di qualsiasi cosa scritta da Gibson, che dal canto suo intasca l’assegno e pare non fregarsene più di tanto.
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