venerdì 30 novembre 2012

The Day - Recensione

The Day
USA, 2012, colore, 87 min
Regia:  Douglas Aarniokoski
Sceneggiatura: Luke Passmore
Cast: Shawn Ashmore, Ashley Bell, Dominic Monaghan, Cory Hardrict, Shannyn Sossamon, Michael Eklund

Un rappresentante del filone post-apocalittico maggiormente orientato verso l'azione mi mancava. Se non erro, l'ultimo esponente fu Codice Genesi ma sono ricordi spiacevoli ed è meglio passare rapidamente oltre. Per prima cosa, se avete già dato un'occhiata al teaser trailer di The Day e siete amanti della buona musica, segnatevi il nome della canzone (Yasmin the Light degli Explosions In The Sky) e fatela vostra. Ancora meglio, fate vostro l'intero album senza lasciare che la lunghezza del titolo (Those Who Tell the Truth Shall Die, Those Who Tell the Truth Shall Live Forever) vi susciti antipatia perchè ne vale la pena.
La vicenda prende vita dieci anni dopo un'imprecisata catastrofe. Non ne conosceremo mai le cause, vedremo solo le conseguenze: fame, razziatori e tribù di cannibali. I cannibali in particolare, che in The Road facevano un'apparizione tanto fugace quanto destinata a rimanere scolpita nella mente, vengono eletti a minaccia numero uno. Un gruppo costituito da cinque giovani superstiti è diretto verso un luogo idoneo alla coltivazione dove piantare radici e i rari semi che si portano dietro. Ne fanno parte Rick (Dominick Monaghan, i cui personaggi sono affetti dalla sindrome di Sean Bean), nelle vesti del leader, il suo amico di vecchia data Adam (Shawn Ashmore), il malaticcio Henson (Cory Hardrict) e Shannon (Shannyn Sossamon), l'emotiva del gruppo che copula col leader. Non bisogna lasciarsi trarre in inganno dall'aspetto minuto dell'ultima arrivata Mary (Ashley Bell), la cui brutalità e ferocia nel combattere è uno dei motivi di maggiore godimento della pellicola. Il ruolo del cattivo di turno è invece affidato al viso affilato di Michael Eklund, che ho trovato grandioso in The Divide. Per scelte professionali mi ricorda molto il Gary Oldman dei primi tempi, quello specializzato in ruoli di psicotico e violento. Non posso dire che gli attori siano tutti tagliati per il ruolo ma trovare un cast di tutto rispetto in una produzione dal budget così ridotto è un valore aggiunto. Salta subito all'occhio come la fotografia sia un plagio di quella del già citato The Road, toni grigi, quasi del tutto desaturati. Quindi bella ed evocativa. Qualche magagna arriverà col sopraggiungere della notte dove la fotografia è troppo scura e nelle scene più concitate risulta difficile capire cosa stia succedendo. Non so se sia una scelta stilistica ma per un film d'azione non è proprio il massimo. Le condizioni di Henson peggiorano ed il gruppo trova riparo dalla pioggia all'interno di una casa abbandonata. A proposito di Henson, il suo stato di salute è una variabile impazzita. E non mi riferisco alle botte di adrenalina che scaturiscono da un povero cristo che gradirebbe evitare di diventare la cena di un tizio con la cresta e della sua allegra famigliola. Passa da moribondo a quasi pimpante secondo criteri ignoti a tutti tranne che allo sceneggiatore Luke Passmore. Sorpresa delle sorprese, la cantina della casa è piena di scorte di generi alimentari. Troppo bello per essere vero. Una trappola scatta e la sirena comincia a suonare. Da questo momento in poi comincia l'assedio, la lotta per la sopravvivenza nell'arco di una giornata. La trama è tutta qui, lineare e senza fronzoli, che prevede un sacco di azione e non si tira indietro nel mostrare violenza e fiumi di sangue in CGI. Volendo sottilizzare, vista la superiorità numerica schiacciante dei cannibali e la penuria di munizioni dei nostri, non ci sarebbe da discutere sull'esito dello scontro. Va bene che il nemico è rappresentato da gente comune che dopo anni di stenti ha deciso di adottare differenti abitudini alimentari ma la loro attitudine al suicidio lascia perplessi. Assalti suicidi a parte, a rendere meno improbabile il tutto ci pensa Mary, che oltre ad essere una furia scatenata, padroneggia bene la strategia del terrore, impalando le teste mozzate dei nemici caduti come monito. Qualcuno però spieghi all'attrice che sei vuoi apparire una fumatrice credibile, il fumo deve essere immesso nei polmoni prima di essere espirato e non trattenuto semplicemente in bocca soffiando quella ridicola nuvolona. Che poi per apparire cazzuti mica bisogna essere per forza fumatori e tu, Aarniokoski, in questi casi non insistere troppo su di lei. Prima che si scateni l'inferno notturno, anche all'interno della casa hanno i loro grattacapi. La scena della tortura è ben girata e di notevole impatto emotivo, con la buona prova di Ashmore che pare abbia fortemente voluto il ruolo, forse per cercare di scrollarsi di dosso l'immagine del bravo ragazzo mutante. Solo che la metamorfosi di Adam in efferato torturatore sembra un po' forzata. Non del tutto improbabile viste le circostanze ma più che un calderone di rabbia pronto a esplodere sembrava un tizio in procinto di spararsi un colpo in testa, con quella maschera del dolore per la morte della moglie e della figlia perennemente calata sul viso.
Insomma The Day si colloca dalle parti dell'intrattenimento senza troppe pretese. Ha tra le frecce del suo arco una prima mezz'ora molto d'atmosfera e il ferale personaggio di Mary (fumo a parte) alla quale, nel finale, basta un colpo di coltello per esprimere efficacemente la sua posizione sul concetto di famiglia nel mondo post-apocalittico, tema su cui si insiste parecchio sia dalla parte dei buoni che dei presunti cattivi. E potrebbe non avere tutti i torti.

In una vecchia intervista risalente al Fantasy Fest 2011, Luke passmore collocava The Day come capitolo centrale di una trilogia già scritta che dubito verrà mai realizzata.

domenica 4 novembre 2012

Resident Evil: Retribution - Recensione

Resident Evil: Retribution
Germania/Canada, 2012, colore, 96 min
Regia: Paul W.S. Anderson
Scenggiatura: Paul W.S. Anderson
Cast: Milla Jovovich, Sienna Guillory, Michelle Rodriguez, Bingbing Li, Boris Kodjoe, Johann Urb, Kevin Durand, Oded Fehr, Shawn Roberts

I film della serie Resident Evil non hanno mai brillato in quanto a storia ma in quest'ultimo capitolo viene abbandonata totalmente qualsiasi pretesa di plot per concentrarsi unicamente su una sequela di momenti d'azione pompatissimi quanto a lungo andare monotoni e interminabili. Tenendo conto della struttura di Retribution, mai come in questo caso è corretto parlare di livelli più che di scene. Nemmeno il precedente capitolo, Resident Evil: Afterlife si era spinto a tanto. D'altro canto, e lo dico non senza rammarico, la saga videoludica ha intrapreso un percorso di abbandono della struttura da Survival Horror che l'ha portata nel corso degli anni ad uniformarsi sempre più con quanto ci viene proposto da Anderson. In questo contesto dove le sequenze si configurano come forsennate e convulse sessioni di gioco action, i cari vecchi zombie dall'andatura claudicante sarebbero fuori posto. Vengono rimpiazzati da qualche umano infetto tarantolato che si immola come carne da macello, destinato a lasciare spazio alla propensione al gigantismo del bestiario geneticamente modificato di Anderson, che rispolvera, raddoppiandole di numero o di dimensioni, alcune vecchie conoscenze.   L'introduzione di Retribution riprende l'epilogo del quarto capitolo, riproponendolo ed estendendolo tramite ralenti al contrario per fare capire che alla regia c'è lui, Paul W.S. Anderson, e un'ossessione è un'ossessione. Segue riassunto delle puntate precedenti per chi volesse sentire la voce di Milla/Alice per più di cinque secondi, ossia la durata media delle battute che pronuncia nel resto del film. Al termine del riepilogo troviamo un allegro quadretto familiare con un'inedita Alice in versione casalinga danarosa, il marito Carlos (Oded Fehr) e la figlia sordomuta Becky. L'idillio è destinato ben presto a finire quando il sobborgo residenziale viene invaso da un'orda di infetti. Mentre Carlos mutato sta per posare i tentacoli su di lei, si conclude questa piccola parentesi senza colpi di kung-fu e spacconate. Uno dei test del “Progetto Alice” è finito. Il nuovo clone della protagonista si sveglia (coperta solo da un fazzoletto di tessuto, come da prassi) all'interno dell'enorme base sottomarina della Umbrella Corporation situata sotto i ghiacci. Da qui in avanti si assiste unicamente al tentativo di fuga verso la superficie attraverso una serie di stage (le repliche di Tokyo, New York, Mosca e del sobborgo iniziale) tra Licker anabolizzati, raccordi tra le scene affidati alla solita mappa tridimensionale e ininfluenti ritorni di personaggi. Tramite l'espediente della clonazione c'è di nuovo spazio, stavolta tra le fila dei cattivi, per Michelle Rodriguez, Colin Salmon e qualcun altro. Un'operazione inutile che non va al di là del riconoscimento visivo perché nessuno ha un personaggio da interpretare. Stesso discorso vale per i componenti della squadra di recupero che vede tra le sue fila un paio di new entry buttate dentro a casaccio (Leon Kennedy, Barry Burton). Burton interpretato da Kevin Durand è l'unico che abbia un briciolo di caratterizzazione. Ma non c'è tempo da perdere con queste inezie, Anderson va troppo di fretta, ansioso di condurci al prossimo scontro. Una concezione che si muove nella direzione inversa rispetto a certe produzioni videoludiche odierne che ricercano un'attenzione narrativa e contenutistica sempre maggiore per farsi veicolo di emozioni ma anche di riflessioni. Qui al massimo si riflette su quanto prudesse a Milla la tutina in latex. Anche il tentativo di umanizzare Alice facendole instaurare un rapporto madre-figlia con la clone Becky resta ad un livello superficiale. Retribution come nei film precedenti pone le premesse per il capitolo successivo, il sesto ed ultimo, facendolo nel modo più spettacolare possibile. E c'è da scommetterci, sarà la versione sotto amfetamine di questo, che a sua volta è la versione sotto amfetamine di Afterlife.

venerdì 2 novembre 2012

Il canto di Paloma

La teta asustada
Spagna/Perù, 2009, colore, 94 min
Regia: Claudia Llosa
Sceneggiatura: Claudia Llosa
Cast:  Magaly Solier, Marino Ballón, Susi Sánchez, Efraín Solís, Bárbara Lazon, Karla Heredia, Antolín Prieto

Fausta (Magaly Solier), ventenne peruviana, è cresciuta sopraffatta dall'incubo di essere violentata come era accaduto alla madre incinta di lei negli anni '80, caratterizzati da violenza, stupri e terrorismo durante la guerra civile. Fausta vive in un ambiente chiuso, dominato da superstizioni tramandate e accettate come reali, che portano tutti gli abitanti di un quartiere povero di Lima a considerare inevitabile il comportamento della giovane. Proprio la madre morente le ricorda, con una cantilena straziante che ci può apparire come una sorta di testamento, di averle trasmesso questa “malattia”, avendola allattata con il latte del dolore. La violenza subita dalla madre si ripercuote sulla psiche della figlia, il suo ricorco (che Fausta sente sulla pelle perché l'ha vissuto quando era “dentro il suo ventre”) la tormenta, determinando un'incapacità di stabilire legami ed affetti che vadano oltre il ristretto ambiente familiare. Vive marginalmente i contatti, sfuggendo come è lecito aspettarsi sopratutto le figure maschili e assiste senza particolare coinvolgimento emotivo allo scorrere della propria vita. Già da anni, come modalità difensiva, ha introdotto un tubero in vagina (non viene lasciato spazio ad alcuna morbosità) con conseguenti infezioni e germogliamenti. Una svolta avverrà alla morte della madre. Spinta dal desiderio di riportarla nel suo paese natio e offrirle un degno funerale, si vedrà costretta, per trovare i soldi necessari, ad accettare lavoro come domestica nella villa di una pianista affermata ma dalla vena creativa un po' offuscata. Ma anche nel nuovo ambiente porta una maschera di dolore, è una sorta di automa. Si scioglie solo nel momento del canto: le cantilene inventate sul momento sono l'unico mezzo per essere trasportata fuori dai suoi momenti più dolorosi. Proprio una di queste cantilene verrà plagiata con enorme successo dalla concertista che, con violenza di classe schiacciante, non dimostrerà alcuna gratitudine nei confronti della creatrice. Considerata pericolosa, Fausta verrà licenziata e abbandonata per strada. Ma nonostante Il canto di Paloma sia tanto duro e spietato verso la sua protagonista, le cui tragedie sono le tragedie di un popolo, non chiude le porte a qualsiasi speranza. Trovare un posto dove abbandonare le proprie paure e aprirsi alla vita è possibile e Fausta incontrerà un uomo, un giardiniere, che riuscirà a farla “germogliare”. E il difficile cammino intrapreso nel tentativo di liberarsi dallo stato di morte interiore, tramandatole da una madre che aveva trasformato il suo vissuto nel presente della figlia, culminerà nella riconquista della vita.
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