mercoledì 6 giugno 2012

Virtuality - Recensione

Virtuality
USA/Canada, 2009, colore, 87 min
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Michael Taylor, Ronald D. Moore
Cast: Nikolaj Coster-Waldau, Kerry Bishé, Joy Bryant, Sienna Guillory, James D'Arcy, Clea DuVall, Ritchie Coster

Sono passati cinque mesi dall'inizio del viaggio decennale dell'astronave Phaeton e mancano pochi giorni al punto di non ritorno, quando verrà definitivamente presa la decisione se continuare o meno la missione alla volta del pianeta Epsilon Eridani. La Terra è vittima di stravolgimenti climatici, con la situazione in via di peggioramento. La missione della Pheaton si trasforma quindi da semplice missione esplorativa in una questione si sopravvivenza della specie. Per far fronte ai costi che la spedizione comporta, gli astronauti, che si prestano più o meno volontariamente, divengono protagonisti di un reality show seguito da miliardi di persone sulla Terra: la nave è tappezzata di telecamere, ci sono sponsor da esibire, il confessionale e altre amenità di questo genere. La prima mezz'ora appesantita dagli stereotipi del reality potrebbe risultare fuorviante; Virtuality è in grado di regalare numerosi colpi di scena a chi avrà la pazienza di aspettare. Per vincere la sfida psicologica di una missione a lungo termine sono invece presenti dei moduli virtuali programmabili a piacimento per ottenere una simulazione realistica delle proprie fantasie, e magari condividerle, o avere semplicemente un po' di privacy. C'è chi si reinventa stratega durante la guerra di secessione, chi spia sotto copertura. Però il paraplegico alpinista, dopo Strange Days, non è più ammissibile. Man mano che il momento della decisione si avvicina, i guasti tecnici diventano sempre più frequenti e gli astronauti sperimentano, nel migliore dei casi, la morte virtuale a causa di un misterioso personaggio, presenza clandestina nei loro mondi simulati. Forse si tratta di un'anomalia di programmazione, forse qualcuno a bordo ha hackerato i moduli. Le conseguenze a livello psicologico saranno imprevedibili.

Se guardiamo il panorama odierno e a quali serie televisive di fantascienza è concesso avere a disposizione un'intera stagione, se non addirittura il rinnovo, per rendersi sempre più ridicole come se due puntate non fossero già sufficienti, il rimpianto per uno show mai nato come Virtuality è ancora maggiore. Avere come produttore un nome stranoto aiuta, essere Ronald D. Moore, che i fan del remake di Battlestar Galactica conoscono bene, a quanto pare no. La Fox da parte sua, ancor prima che il rating d'ascolto lo condannasse definitivamente, non è mai sembrata particolarmente interessata al progetto Virtuality, forse predilige cose più terra terra/Terra Nova. Venne indetta la solita raccolta di firme per convincere l'emittente a fare marcia indietro e ordinare nuovi episodi (poveri illusi) ma quando la dicitura di IMDb mutò da pilot a film per la TV si capì che non c'era nulla da fare. Ed è un peccato, perché il mix di viaggio spaziale, spunti cyberpunk, complotti e atmosfera paranoica, almeno sulla carta era potenzialmente devastante e con tutta questa carne al fuoco era più che lecito sperare in una stagione senza punti morti, magari limando qualche aspetto che a molti è risultato decisamente indigesto. In particolare sono state le concessioni allo stile reality show e l'odiatissimo confessionale a destare le maggiori critiche. Per quanto mi riguarda capisco solo parzialmente tutto questo accanimento, infatti l'utilizzo delle telecamere posizionate dentro e all'esterno della nave nella stragrande maggioranza dei casi si limita a fare da raccordo tra una scena e l'altra. Discorso diverso per le parti relative al confessionale, presenza fastidiosa e fin troppo invasiva almeno nella prima parte di questo lungo episodio pilota da un'ora e mezza. Ma il vero problema è l'utilizzo che se ne fa, il limitarsi alla superficie prediligendo lo sfogo emotivo ad un reale approfondimento psicologico. Una maggiore attenzione in fase di scrittura non avrebbe guastato. Attenzione che non manca quando il ricorso ai mondi virtuali è finalizzato ad indagare le interazioni tra tecnologia e cervello umano, tra la realtà e la sua percezione. Ciò che percepiamo come reale attraverso un medium che interfacciandosi col cervello dà luogo ad un'attività sensoriale, può essere considerato reale a tutti gli effetti? Se attraverso questo processo percettivo, un flusso di stimoli può entrare nel campo della nostra coscienza e produrre sensazioni intense, allora chi è vittima di uno stupro nel mondo virtuale risentirà degli effetti emotivi e psicologici per il resto della sua vita? Dopo il fattaccio, sminuito dal maschilismo di bordo, le donne dell'equipaggio non staranno a guardare. Non sapremo mai come andrà a finire questa sorta di rape&revenge virtuale né perché la personalità di un astronauta morto continui a scorrazzare liberamente per la simulazione. Sì, la sorte di Virtuality è stata decisamente immeritata.

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