lunedì 28 maggio 2012

Sector 7

7 gwanggu
Corea del Sud, 2011, colore, 118 min
Regia: Ji-hun Kim
Sceneggiatura: Je-gyun Yun
Cast: Ji-won Ha, Sung-kee Ahn, Ji-ho Oh, Ae-ryeon Cha, Han-wi Lee

Se sommiamo le parole monster movie e Corea del Sud, il risultato, inevitabile, sarà The Host (Gwoemul). Il bel film di Joon-ho Bong, risalente ormai al 2006, è capace di amalgamare perfettamente non solo generi ma anche registri diversi: si passa dall'allegria al dramma in pochi attimi, si riflette sui legami familiari, ci si emoziona. Nessuno si sarebbe aspettato qualcosa del genere da un film con mostro mutato emerso dal fiume Han. Sector 7 non è The Host, è un b-movie d'azione di quelli beceri e al massimo ci si può interrogare su quale scena sia più demenziale o quale blockbuster hollywoodiano stiano plagiando in quel determinato momento.

Premetto che i sottotitoli in inglese impressi sul video della mia versione seguono regole note solo ai traduttori automatici. Per quel poco che c'è da capire bastano e avanzano.
Hae-jun (Ji-won Ha) è una ragazza che ha deciso di seguire le orme padre, morto in circostanze poco chiare, lavorando su una piattaforma petrolifera con laboratorio di ricerca annesso. La vita le piace così, in mezzo al grasso, al petrolio e alle trivelle. Freudiano o meno, condivisibile o meno, mi pare comunque più dignitoso che lucidare pali da lap dance in note ville sotto lo sguardo di statuette di Priapo. Negli intervalli tra una trivellazione e l'altra, la noia regna sovrana e la nostra Hae si lancia in trashissime corse in moto (noto passatempo su qualsiasi piattaforma petrolifera che si rispetti) insieme al suo innamorato Dong-soo (Ji-ho Oh). Magnifico vederla sterzare a cavallo di una moto immobile mentre lo schermo alle sue spalle proietta un rettilineo.
Dell'equipaggio di macchiette blateranti fa parte anche un ritardato pervertito, la cui collocazione professionale non ci è dato sapere. Semplicemente va bighellonando per la base e ogni tanto funge da punchball umano per combattere lo stress lavorativo di tutti i giorni. Comunque non importa. Quel che importa è che verrà subito etichettato come colpevole quando il mostraccio di turno verrà risvegliato e comincerà a mietere vittime. Giusto per allungare il brodo, come se il film non fosse già abbastanza lungo e snervante di suo. Intanto lo zio di Hae (Sung-kee Ahn), un pezzo grosso della compagnia petrolifera universalmente riconosciuto come il figo della situazione nel suo giubbetto Weyland-Yutani farlocco, atterra sulla piattaforma e pare saperla lunga. Finalmente il mostro si palesa e comincia ad accoppare tutti. È identico a quello di The Host con l'aggiunta di una lunga lingua e tentacoli stile hentai che secernono un liquido che tutti pensano sia sperma ed invece è un liquido infiammabile, il carburante del futuro. Che cosa starà mai combinando la compagnia? In laboratorio segue chiarimento zio-nipote su sorte del fratello-padre. Il linguacciuto mostro afferra linguescamente lo zio e lo fa roteare come una trottola. Lui da vero figo qual è, mentre gira vorticosamente afferra al volo una bottiglia di acido solforico posta tra decine di altre bottiglie e la scaglia sulla creatura. Poi esce di scena per riapparire random in altre occasioni armato di lanciafiamme. E non pensate che si finita qui, siamo appena a metà film. Esaurita la comicità involontaria resta solo il lungo calvario per l'eliminazione del mostro. Siete avvertiti.
Per essere il primo film coreano in 3D è un ottimo inizio, non c'è che dire.

giovedì 24 maggio 2012

The Divide - Recensione

The Divide
Germania/USA/Canada, 2011, 112 min, colore
Regia: Xavier Gens
Sceneggiatura: Karl Mueller, Eron Sheean
Cast: Lauren German, Milo Ventimiglia, Michael Biehn, Michael Eklund, Rosanna Arquette, Courtney B. Vance, Ashton Holmes, Iván González

New York, l'apocalisse nucleare si scatena riflessa negli occhi colmi di lacrime di Eva (Lauren German). Mentre fioccano le bombe e la città si trasforma in un'indistinta massa fiammeggiante, Eva ed altre otto persone riescono a trovare scampo nel seminterrato del palazzo dove vivono, trasformato in rifugio antiatomico dal paranoico e bigotto custode Mickey (Michael Biehn). Quest'ultimo, accettata di malavoglia l'intrusione nel suo dominio privato, assume immediatamente il controllo della situazione e ordina che la porta d'ingresso rimanga chiusa fino a quando non deciderà che ci siano i presupposti per uscire. Il gruppo dei sopravvissuti comprende inoltre il balordo numero uno Josh (Milo Ventimiglia), il balordo numero due Bobby (Michael Eklund) legato al primo da un rapporto di sudditanza psicologica e omosessualità non troppo latente, Sam (Iván González) che è la quintessenza della passività e dell'insicurezza, la nevrotica Marilyn (Patricia Arquette) con figlia a carico e gli inutili Delvin ed Adrien, fratello di Josh.Mentre le scorte di viveri si assottigliano e la sfiducia cresce tra personaggi che non hanno nulla in comune tra loro, fa capolino un subplot puramente fantascientifico che non verrà sviluppato. Misteriosi uomini in tuta antiradiazioni fanno irruzione ad armi spianate e rapiscono la bambina, sigillando definitivamente i superstiti all'interno dello squallido e spoglio seminterrato, senza alcuna possibilità d'uscita. La speranza non abita più qui, una condizione metaforicamente trasposta nella fotografia del bunker (Gens come di consueto si affida a Laurent Barès, con cui aveva già collaborato in Frontier(s) e nell'orribile adattamento del videogame Hitman) che non concede il conforto di alcun colore. Ed è quando i corpi cominciano a mostrare i primi sintomi di avvelenamento da radiazioni e la psiche vacilla che The Divide scade, lasciandosi andare ad una violenza autocompiaciuta che non si sa bene dove voglia andare a parare. Tra teste rasate, dita mozzate e stupri di gruppo si procede una brutalità dopo l'altra, al punto che l'unica cosa che ci si chiede è quanto lontano potranno spingersi i personaggi e quali depravazioni, soprattutto sessuali, potranno mai arrivare. Che ci si interroghi sugli angoli più oscuri della mente umana che aspettano solo determinate circostanze per venire alla luce? Affidare la fin troppo repentina regressione allo stato animale a personaggi come Josh e Bobby è scelta piuttosto ridicola: da gente egoista e violenta già nel mondo pre-apocalittico non ci si aspetta certo che cerchi di razionalizzare o cominci a snocciolare sermoni new-age e assuma la posizione del loto. Nonostante questo non si può non sottolineare la performance di Michael Eklund, una spanna sopra gli altri per intensità e creatività. A Michael Biehn tocca invece la parte della macchietta fascistoide probabile veterano di guerra con annesso sigaro d'ordinanza. Però quando imbraccia un fucile avveniristico ha guizzi del marine coloniale dei tempi che furono che definirei commoventi.
Spero che in futuro l'innegabile talento visivo di Gens -basti guardare l'adrenalinico incipit e un angoscioso finale dove la “bellezza” dell'apocalisse è ai massimi livelli- trovi altri mondi da esplorare.

Una curiosità: il cast quasi al completo dovrebbe tornare a lavorare insieme in The Farm, diretto dallo stesso Xavier Gens. Sempre che il progetto vada in porto.
Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...