giovedì 21 giugno 2012

Hell - Recensione

Hell
Germania/Svizzera, 2011, colore, 89 min
Regia: Tim Fehlbaum
Sceneggiatura: Tim Fehlbaum, Oliver Kahl, Thomas Wöbke
Cast: Hannah Herzsprung, Stipe Erceg, Lars Eidinger, Lisa Vicari, Angela Winkler



2016, lo strato d'ozono è scomparso e l'intensità dei raggi solari ha decimato la popolazione rendendo la vita impossibile ai superstiti, ridotti alla costante ricerca di acqua e crema solare. Dopo un flashback iniziale per farci capire che in questo mondo privo di strutture sociali gira brutta gente, veniamo catapultati a bordo di una Volvo scassata con i finestrini oscurati alla meno peggio. All'interno si trova il nucleo centrale dei personaggi quasi al completo: Marie (Hannah Herzsprung) con la sorella minore Leonie e un ragazzo di nome Philip. Il legame tra le due sorelle è molto forte, quello tra Marie e Philip è basato sull'amore romantico: lui fornisce auto e protezione, lei ricambia con una certa vicinanza fisica. Nulla di particolarmente scabroso, sono le regole della sopravvivenza ed è più lei che sfrutta lui, chiaramente innamorato. La destinazione finale sono le montagne, dove potranno imbottigliare personalmente acqua minerale Evian in quantità (non sto scherzando). Gli uccelli nel cielo lo suggeriscono.

Tim Felhlbaum, tedesco classe '82, decide di affidarsi al sottogenere post-apocalittico per la sua opera prima, spalleggiato per l'occasione dal connazionale Roland Emmerich in veste di produttore esecutivo. L'impronta “ignorante” del re dei blockbuster irrealistici per fortuna non è presente, anche se si nota la volontà di rendere il film facilmente assimilabile da un pubblico più vasto possibile, senza eccedere in cattiveria e disperazione. Sono pronto a scommettere che il titolo ad effetto Hell, che in tedesco vuol dire luminoso, se lo sia inventato Emmerich a cui piacciono i doppi sensi faciloni. D'altra parte il titolo di lavorazione Das ende der nacht, la fine della notte, non era molto veritiero quindi va bene così.

Parte bene Hell, mostrandoci scene di ordinaria sopravvivenza sotto la minaccia del sole cocente, sottolineata perfettamente dalla fotografia abbagliante di Markus Förderer. Azzeccata la scelta in queste fasi di non avvalersi di colonna sonora, solo luce accecante e silenzio, i personaggi sospesi in un'atmosfera surreale. Particolarmente apprezzabile è la mancanza di spiegoni con la contestualizzazione affidata a vecchi quotidiani abbandonati e ad una breve didascalia iniziale. Così come sono assenti i piagnistei melensi su quanto è andato perduto. Se il comparto tecnico riesce a dar vita all'idea di partenza e a creare un'atmosfera estremamente riuscita pur con un budget limitato, è la sceneggiatura che non brilla per originalità limitandosi a percorrere binari abusati e guidandoci verso un happy end che nessuno metterebbe mai in dubbio. C'è troppa poca cattiveria, Hell non osa, cerca di non urtare la sensibilità dello spettatore medio. Anche quando entra in scena una comunità di bifolchi cannibali e i suoi magazzini stipati di persone in attesa di diventare carne da macello (qualcuno ha detto The Road?), il film rifugge da immagini troppo crude o ad alto tasso di malessere emotivo. Non è un brutto film --l'idea di partenza e la sua realizzazione sono ottime-- solo che questo viaggio per la sopravvivenza si rivela prevedibile e la mancanza di sussulti e momenti forti che rimangano impressi lo rende facilmente dimenticabile.

giovedì 14 giugno 2012

Liquid Sky

Liquid Sky
USA, 1982, colore, 112 min
Regia: Slava Tsukerman
Sceneggiatura: Slava Tsukerman, Anne Carlisle
Cast: Anne Carlisle, Paula E. Sheppard, Susan Doukas, Otto von Wernherr




Durante un festino a base di musica New Wave, un piccolo UFO atterra nell'appartamento di Margaret e Adrian, rispettivamente una modella cocainomane e la sua ragazza spacciatrice. Il passeggeri, minuscoli alieni mutaforma, si nascondono in casa all'insaputa della coppia alla ricerca di una fonte molto insolita di nutrimento, le endorfine prodotte dal cervello durante l'orgasmo sotto l'effetto di droghe pesanti. Risvegliatasi dopo una notte di sesso, Margaret trova la sua ultima conquista con un cristallo tagliente che gli sporge dalla testa. Diventa così una pedina nel procacciamento di cibo per gli alieni, utilizzati a loro volta come strumento di rivalsa nei confronti del genere maschile, verso il quale Margaret non nutre molta simpatia in seguito ad esperienze negative.

Prodotto a basso costo scritto dal misconosciuto regista russo Slava Tsukerman in collaborazione con l'attrice Anne Carlisle, Liquid Sky è un tripudio alienante di luci psichedeliche e insegne al neon che riesce a cristallizzare lo spirito degli anni '80 sia nei suoi aspetti più superficiali e modaioli che nelle più profonde implicazioni sociologiche. Ne deriva l'impietoso ritratto di una generazione devastata a livello fisico e psicologico dall'invasione delle droghe pesanti. Anne Carlisle, nel doppio ruolo di Margaret e del modello gay e, ovviamente, cocainomane Jimmy, offre una performance di rigida artificiosità e verrà ricordata più come ragazza manifesto dell'androginia che come attrice. Sebbene tecnicamente mostri tutti i segni del tempo, Liquid Sky merita una riscoperta in virtù del suo spirito indipendente e di un approccio unico alla sessualità. Si segnala anche come fonte d'ispirazione per l'estetica electroclash.

martedì 12 giugno 2012

War of the Dead

War of the Dead
USA/Lituania/Italia, 2011, colore, 86 min
Regia: Marko Mäkilaakso
Sceneggiatura: Barr B. Potter, Marko Mäkilaakso
Cast: Andrew Tiernan, Mikko Leppilampi, Samuel Vauramo, Jouko Ahola, Mark Wingett, Andreas Wilson, Magdalena Górska

Credo fosse il 2007 quando sentii parlare per la prima volta di questo film che all'epoca si chiamava Stone's War. Riuscì a destare la mia curiosità, vuoi perché il filone nazi-zombie all'epoca non era così inflazionato, vuoi perché si vociferava che James Van Der Beek avrebbe interpretato il capitano Stone del titolo e volevo farmi quattro risate. Una produzione quantomeno travagliata trasformò il progetto stesso in uno zombie, non si riusciva a capire se fosse vivo o morto. Diversi titoli, cast e compagnie di produzione dopo, War of the Dead riesce stoicamente ad essere ultimato e distribuito in DVD. Van Der Beek purtroppo non c'è. In compenso è il film più costoso ad essere stato girato in Lituania (1 milione di euro). Trama (se di trama si può parlare): 1939, da qualche parte lungo il confine tra Finlandia e URSS si trova un bunker dove i nazisti conducono esperimenti genetici sui soldati russi catturati. 1941, da qualche parte lungo il medesimo confine, un'unità d'élite composta da soldati finlandesi e americani sforacchia e si mena con soldati russi, soldati russi zombie, soldati finnici zombie, soldati nazisti, soldati nazisti zombie. Punto. Tutti parlano inglese sempre e comunque. Lungi da me fare il puntiglioso, lo dico unicamente per motivi pratici. Magari se i finlandesi si fossero espressi nella loro lingua madre avrebbero recitato in maniera leggermente più decente. Nulla da fare per Andrew Tiernan (l'Efialte di 300), lui anche senza l'handicap della lingua è scarso comunque. Tra uno zombie e l'altro, i nostri eroi raggiungono il bunker nazista. Mediante una scatoletta esagonale con gingilli meccanici che si portano appresso dall'inizio, aprono una sorta di sarcofago e si svela il GRANDE MISTERO: tre secondi di inquadratura di un tavolo con cinghie. Ecco da dove vengono quelle cose, dice Stone. Ma vaffanculo, dico io. Manco lo sforzo di inventarsi una boiata qualsiasi.
Riporto la continuazione del dialogo:
“Cosa stavano facendo?” chiede Stone.
“Non lo so ma questo spiega quelle cose.” risponde il tenente Laakso che è un campione di logica deduttiva.
“Quest'affare le ha riportate in vita.”
“Tu credi?”
“Il diavolo ha molti travestimenti.”
“I soldati delle SS...” farfuglia Laasko guardando un punto imprecisato tra le sue scarpe, forse in risposta all'affermazione di prima.
“Forza, controlliamo la stanza.”
Discorso definitivamente chiuso, mistero svelato e via ad ammazzare altri zombie.

Vediamo cos'altro offre War of the Dead.
Zombie: veloci e prestanti. Amano formare gruppi di tre aspettando una granata che puntuale arriva.
Battute tamarre: non pervenute. Il film si prende parecchio sul serio.
Carisma dei personaggi: impalpabile. Stone al massimo è perentorio nella panza.
Gentil sesso: un'unica fugace presenza femminile in tutto il film, la graziosa Magdalena Górska, infilata a forza per il momento strappalacrime.
Resa tecnica: i primi minuti sono imbarazzanti. Ostinato rifiuto del campo/controcampo rimpiazzato dalla camera che i sposta a sinistra e a destra come nelle interviste in piazza che si vedono al Tg.  La macchina da presa urla la sua presenza con riprese sghembe e oblique, senza un motivo ben preciso. Forse per accrescere la sensazione di pericolo, ma è una mia ipotesi che non trova riscontro. Poi qualcuno deve essere rinsavito e ci si attesta su livelli decenti.
Violenza: il sangue digitale più pixelloso che vedo da anni. Stone è piromane nell'anima.

Concludendo, si può apprezzare la caparbietà con cui Mäkilaakso abbia portato avanti il progetto ma non riesco a trovare un singolo motivo per arrivare fino alla fine di questo film, escludendo il masochismo o l'insonnia. Una serie di scene d'azione collegate alla rinfusa, senza traccia di plot, umorismo e talento nella messa in scena. Solo zombie e tanta noia.

mercoledì 6 giugno 2012

Virtuality - Recensione

Virtuality
USA/Canada, 2009, colore, 87 min
Regia: Peter Berg
Sceneggiatura: Michael Taylor, Ronald D. Moore
Cast: Nikolaj Coster-Waldau, Kerry Bishé, Joy Bryant, Sienna Guillory, James D'Arcy, Clea DuVall, Ritchie Coster

Sono passati cinque mesi dall'inizio del viaggio decennale dell'astronave Phaeton e mancano pochi giorni al punto di non ritorno, quando verrà definitivamente presa la decisione se continuare o meno la missione alla volta del pianeta Epsilon Eridani. La Terra è vittima di stravolgimenti climatici, con la situazione in via di peggioramento. La missione della Pheaton si trasforma quindi da semplice missione esplorativa in una questione si sopravvivenza della specie. Per far fronte ai costi che la spedizione comporta, gli astronauti, che si prestano più o meno volontariamente, divengono protagonisti di un reality show seguito da miliardi di persone sulla Terra: la nave è tappezzata di telecamere, ci sono sponsor da esibire, il confessionale e altre amenità di questo genere. La prima mezz'ora appesantita dagli stereotipi del reality potrebbe risultare fuorviante; Virtuality è in grado di regalare numerosi colpi di scena a chi avrà la pazienza di aspettare. Per vincere la sfida psicologica di una missione a lungo termine sono invece presenti dei moduli virtuali programmabili a piacimento per ottenere una simulazione realistica delle proprie fantasie, e magari condividerle, o avere semplicemente un po' di privacy. C'è chi si reinventa stratega durante la guerra di secessione, chi spia sotto copertura. Però il paraplegico alpinista, dopo Strange Days, non è più ammissibile. Man mano che il momento della decisione si avvicina, i guasti tecnici diventano sempre più frequenti e gli astronauti sperimentano, nel migliore dei casi, la morte virtuale a causa di un misterioso personaggio, presenza clandestina nei loro mondi simulati. Forse si tratta di un'anomalia di programmazione, forse qualcuno a bordo ha hackerato i moduli. Le conseguenze a livello psicologico saranno imprevedibili.

Se guardiamo il panorama odierno e a quali serie televisive di fantascienza è concesso avere a disposizione un'intera stagione, se non addirittura il rinnovo, per rendersi sempre più ridicole come se due puntate non fossero già sufficienti, il rimpianto per uno show mai nato come Virtuality è ancora maggiore. Avere come produttore un nome stranoto aiuta, essere Ronald D. Moore, che i fan del remake di Battlestar Galactica conoscono bene, a quanto pare no. La Fox da parte sua, ancor prima che il rating d'ascolto lo condannasse definitivamente, non è mai sembrata particolarmente interessata al progetto Virtuality, forse predilige cose più terra terra/Terra Nova. Venne indetta la solita raccolta di firme per convincere l'emittente a fare marcia indietro e ordinare nuovi episodi (poveri illusi) ma quando la dicitura di IMDb mutò da pilot a film per la TV si capì che non c'era nulla da fare. Ed è un peccato, perché il mix di viaggio spaziale, spunti cyberpunk, complotti e atmosfera paranoica, almeno sulla carta era potenzialmente devastante e con tutta questa carne al fuoco era più che lecito sperare in una stagione senza punti morti, magari limando qualche aspetto che a molti è risultato decisamente indigesto. In particolare sono state le concessioni allo stile reality show e l'odiatissimo confessionale a destare le maggiori critiche. Per quanto mi riguarda capisco solo parzialmente tutto questo accanimento, infatti l'utilizzo delle telecamere posizionate dentro e all'esterno della nave nella stragrande maggioranza dei casi si limita a fare da raccordo tra una scena e l'altra. Discorso diverso per le parti relative al confessionale, presenza fastidiosa e fin troppo invasiva almeno nella prima parte di questo lungo episodio pilota da un'ora e mezza. Ma il vero problema è l'utilizzo che se ne fa, il limitarsi alla superficie prediligendo lo sfogo emotivo ad un reale approfondimento psicologico. Una maggiore attenzione in fase di scrittura non avrebbe guastato. Attenzione che non manca quando il ricorso ai mondi virtuali è finalizzato ad indagare le interazioni tra tecnologia e cervello umano, tra la realtà e la sua percezione. Ciò che percepiamo come reale attraverso un medium che interfacciandosi col cervello dà luogo ad un'attività sensoriale, può essere considerato reale a tutti gli effetti? Se attraverso questo processo percettivo, un flusso di stimoli può entrare nel campo della nostra coscienza e produrre sensazioni intense, allora chi è vittima di uno stupro nel mondo virtuale risentirà degli effetti emotivi e psicologici per il resto della sua vita? Dopo il fattaccio, sminuito dal maschilismo di bordo, le donne dell'equipaggio non staranno a guardare. Non sapremo mai come andrà a finire questa sorta di rape&revenge virtuale né perché la personalità di un astronauta morto continui a scorrazzare liberamente per la simulazione. Sì, la sorte di Virtuality è stata decisamente immeritata.
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